Fino agli anni 2000 la preoccupazione dei mercati era concentrata sull’inflazione, fenomeno economico che comporta un progressivo aumento del livello generale dei prezzi e, quindi, la diminuzione del potere di acquisto della moneta. Le cause sono diverse: dall’aumento di domanda di beni o servizi, tipici di una economia in crescita; dall’aumento dei costi di produzione, traslati sul prezzo finale; dalla quantità di moneta sul mercato.
La moneta, per gli economisti, è un bene ed è soggetta né più, né meno alle leggi della domanda e dell’offerta: quanto più il bene è disponibile, tanto meno costa.
Politiche restrittive si concentrano sulla riduzione dell’offerta di moneta sul mercato e sulla riduzione della spesa pubblica (disavanzo) che, per il tramite della politica fiscale, innalza i costi di produzione.
Le Banche Centrali Nazionali (BCN) operavano con le proprie controparti (le banche attive nel Paese), mediante strumenti c.d. convenzionali in modo da ottenere gli effetti desiderati sulla liquidità in circolazione nell’area, sui tassi di interesse e, più in generale, sulle condizioni del mercato monetario.
Le fluttuazioni non sono però solo al rialzo, quando il livello generale dei prezzi è in calo si parla di deflazione. Se la libera concorrenza tra le imprese, per accaparrarsi quote maggiori di mercato, determina un abbassamento del prezzo di un dato bene o servizio questa può essere positiva (pensiamo all’evoluzione tecnologica che determina l’abbassamento dei prezzi in certi settori), ma spesso è una situazione recessiva (ossia di crescita negativa), in cui la domanda di beni e servizi (c.d. domanda aggregata) si contrae, a determinare una diminuzione dei prezzi e, se si cronicizza, può essere l’anticamera di una vera e propria depressione.
In questo caso i timori o la sfiducia nel mercato inducono i consumatori a procrastinare gli acquisti e le imprese, da un lato a diminuire i prezzi per restare competitivi e stimolare la domanda di beni, contraendo i propri margini di profitto, dall’altro a contrarre gli investimenti. Nel lungo periodo ciò determinerà un calo della produzione, aumento della disoccupazione e quindi minore reddito disponibile per la spesa delle famiglie che, di fatto, si impoveriranno e saranno disposte a spendere ancor meno.
Dalla crisi dei mutui subprime, alla crisi dei debiti sovrani il clima di sfiducia e il crollo delle Borse si propagano in tutti i mercati mondiali, perché la globalizzazione finanziaria ha creato una interconnessione difficilmente epurabile. Si adottano in politica monetaria misure non convenzionali per contrastare il clima di sfiducia interbancaria e il fenomeno deflattivo in corso, finalizzati al ristabilimento di un normale funzionamento dei mercati finanziari e del credito e rinnovare un clima di fiducia nei confronti della moneta unica.
Con il discorso “whatever it takes” l’allora Presidente Draghi diede forte impulso a queste politiche.
La pandemia ha generato una nuova crisi economica di base sanitaria e non finanziaria.
Nuovi strumenti sono stati studiati per contrastarla.
Nuovi soggetti sono subentrati per contrastarla.
La politica monetaria da tecnicismo tra interlocutori finanziari è divenuta materia di governo, avvalendosi di canali e metodologie diverse. La lunga, lunghissima crisi che ha contagiato i mercati dell’occidente e dell’oriente ha scombussolati teorie e prassi ridisegnando un nuovo futuro di cui non è ancora scritto il finale.
La pandemia sanitaria non ha fatto altro che introdurre nuove variabili da studiare e gestire.
La scommessa è ancora aperta.