È stato definito “rivoluzionario” il Rapporto delle parlamentari europee che porta il loro nome: Forenza-Björck. Il documento, approvato nel marzo 2018 dal Parlamento europeo, mette in discussione gli accordi commerciali carenti delle clausole vincolanti sulla salvaguardia dei diritti umani, tra cui i diritti delle donne, del lavoro e della tutela dell’ambiente. Ciò significa che, qualora le previsioni del testo normativo non venissero osservate, non sarà più possibile per un Paese che non abbia sottoscritto le convenzioni internazionali sulla parità di genere (come per esempio il Cedaw o il Protocollo di Pechino) stipulare un accordo con l’Unione Europea.
La novità principale del Rapporto è che esso riserva un’attenzione al tema del genere, che non si limita alla verifica della presenza di una singola clausola di salvaguardia dei diritti delle donne, ma investe l’intera struttura e costrutto dell’accordo commerciale.
Il primo accordo in cui le norme formulate nel Rapporto sono state applicate è la revisione del tratto commerciale fra la UE e il Cile, in cui il tema della parità di genere è stato esplicitamente inserito (“Trade and Gender Chapter”).
Attualmente, solo il 20% degli accordi commerciali fa esplicito riferimento ai diritti delle donne e il 60% si limita a menzionarle (“donne” o “questioni di genere”). Senza considerare che gli accordi commerciali di nuova generazione, come TTIP, CETA, TiSA riguardano il campo dei servizi pubblici che sono un settore molto importante per le donne. In base al Rapporto, beni e servizi pubblici come acqua, sanità, igiene, istruzione dovrebbero essere esentati dall’agenda per la liberalizzazione degli scambi e forniti dagli Stati in quanto servizi essenziali.
Essenziali tanto più in contesti in cui il carico del lavoro di riproduzione sociale grava sempre troppo sulle spalle delle donne, dove la rappresentanza nel mondo del lavoro è minoritaria, in ambienti in cui l’automazione e l’industrializzazione porta spesso a espellere le donne dal mondo del lavoro e dove le donne sono poco rappresentate nella governance aziendale e nella titolarità della proprietà intellettuale.
L’analisi tiene conto della presenza delle donne nell’economia globale, spesse volte un’economia “informale”, che difficilmente si traduce in una partecipazione stabile, in una rappresentanza e in una presenza ai vertici dell’azienda in cui lavorano (la media è di 1 su 5).
Il rapporto è stato approvato con larga maggioranza e ha comportato un accurato lavoro di negoziazione e di relazione da parte delle relatrici con le altre parlamentari e con le diverse rappresentanze e sensibilità politiche presenti nel Parlamento.
Il Rapporto c’è, sulla carta, non mancano tuttavia le difficoltà sul suo cammino applicativo:
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i diritti umani e delle donne sono considerati come barriere non tariffarie. In quanto “barriere” quindi, gravanti sui trattati commerciali e sulle modalità della loro applicazione, si cerca di aggirarle ed evitare che possano ostacolare la libertà di scambio,
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gli accordi commerciali si caratterizzano per un’asimmetria dei diritti: piena tutela del profitto, ma non altrettanto dei diritti delle donne e dell’ambiente. Le clausole che menzionano questi ultimi infatti prevedono spesso, in caso di violazione, l’assenza di tutele legali o di sanzioni (non-binding),
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gli accordi commerciali sono “gender blind”, ossia, sono indifferenti ed estranei al perseguimento di una politica di parità di genere.
Uno degli ostacoli maggiori, tuttavia, è rappresentato dalla clausola ISDS (Investor-State-Dispute-Solution), che governa la risoluzione delle controversie fra Stato e investitore. Tale clausola prevede l’istituzione di un tribunale ad hoc per salvaguardare gli investimenti internazionali della società da espropriazioni o da un trattamento discriminatorio nello Stato ospite. Tale previsione, infatti, serve a garantire maggiore appetibilità all’investitore estero: sia perché, per la prima volta, prevede la possibilità per una società privata di fare causa a uno Stato, sia perché la previsione di un tribunale ad hoc, invece del tribunale ordinario dello Stato in cui ritiene di aver subito un torto o un trattamento discriminatorio, fa sì che l’oggetto trattato sia circoscritto alle sole disposizioni dell’accordo sottoscritto.
Il valore aggiunto di queste previsioni risiede nella formazione delle donne, con l’aiuto dei fondi della UE, per imparare a misurare l’impatto del commercio internazionale sulle loro condizioni; inoltre, occorre comprendere e rimuovere gli ostacoli che fanno sì che le donne siano delle lavoratrici, ma abbiano difficoltà a imporsi come mercanti o manager. È necessaria insomma un’opera di vigilanza affinché i contenuti del Rapporto trovino sempre applicazione.
L’immagine emblematica che è stata adoperata per rendere visiva la novità e la portata del Rapporto Forenza-Björck, è data dalla statua della bambina che fronteggia l’enorme toro in bronzo nella piazzetta antistante Wall Street.
Tutto questo, tenendo conto degli “sguardi femministi” sull’economia. Ossia delle diverse interpretazioni e dei differenti approcci verso l’economia globale e locale presenti nel pensiero e nel dibattito nel movimento delle donne. Tale sguardo può essere distinto in due filoni principali che rappresentano due metamodelli distinti: il primo, relativo all’empowerment economico delle donne e alla loro piena partecipazione all’interno del mondo economico; l’altro, che pone l’accento, oltre che sull’empowerment, su un approccio legato alle diverse forme di economia “informale”, non liberista, che spesso trovano applicazione negli scambi commerciali delle donne. In quest’ultimo caso, si tratta di economie che non si traducono in un trattato commerciale o in un rapporto con le istituzioni. Serve dunque un gioco negoziale fra il “fuori” e il “dentro”, fra il mainstream e le pratiche di scambio alternative, affinché le previsioni del rapporto trovino applicazione e riescano a produrre i loro effetti positivi.
Il Rapporto Forenza-Björck sull’economia è, come detto, un documento che detta i criteri per un’economia attenta alle questioni di genere. La sua applicazione è “giovane” (2018), apre la strada a una politica diversa. Occorre vedere come questa “strada” aperta da poco riuscirà a completarsi e a coniugarsi con le diverse politiche dei Paesi. Nel caso dell’Italia, parlando di Recovery Fund, e delle politiche di incentivazione a sostegno delle donne, vedremo come e se questi principi troveranno applicazione.