A Ravenna, in tempo di coronavirus

Sembra che Sigmund Freud* si fosse recato in viaggio a Ravenna, ricavandone, tutto sommato, un’impressione alquanto sfavorevole. Tanto più il padre della psicoanalisi ambiva poter cogliere nel luogo nel quale era stato seppellito il grande Teodorico tratti di nobiltà, tanto più mostrava scontento per l’incontro con una città che i succitati tratti di nobiltà non era invece in grado di offrire.

Così Freud finì per assumere l’esistenza di un “buco miserando”, anche tanti, forse troppi, i poveri ed i vagabondi abbarbicati tra i resti del palazzo dell’imperatore Teodorico.

Solo tre cose mossero un suo apprezzamento: i mosaici, i fichi raccolti accanto al mausoleo di Teodorico e, da ultimo, il vino.

Nella lettera che scrisse alla moglie Martha ammise di stare splendidamente, avendo il vino dato un contributo notevole al suo stato di (riacquisito) benessere.

Ravenna è anche una delle città del silenzio.

Gabriele D’Annunzio** la vede al calar del sole farsi gravida di potenze, suggestiva, solitaria e tragica d’ombre, taciturna e balenante, accarezzata da un vento capace di farsi parola del passato.

In un pomeriggio di fine febbraio mi chiedo cosa sia diventata oggi Ravenna, se mantenga il barbaglio di

quella bellezza struggente ed antica che il poeta abruzzese le aveva attribuito oppure, invece, non sia riconoscibile nei tratti di un paesone, come in qualche modo già trapelava dalle parole di Sigmund Freud.

Tutto sommato un mondo de noartri, che i ravennati ben conoscono e tendono a difendere con guascona diffidenza.

Oggi, ultimi giorni di febbraio, sono poche le persone in giro: nei gruppetti che passeggiano nel centro storico traspare un’aria fra il distratto ed il frettoloso, come se ci si cimentasse a stare, ma appena quanto serve.

Banalmente diventa il q.b, ovvero il quanto basta che si legge nelle ricette.

Una città, dunque, che mostra di non viversi con la serenità che invece ha alimentato altri momenti.

Concordo con Umberto Galimberti,*** sarebbe difficile sostenere il contrario, che la paura rappresenti un sentimento attraverso il quale ci si difende da un pericolo. Siamo messi in guardia, ed è cosa sana.

Quello che bene non fa, però, è l’angoscia, il panico irrefrenabile che tracima, annientando la capacità dell’io di fare fronte a stimoli (troppo) potenti e turbando equilibri interiori dati, spesso, per scontati.

Smontando certezze viene dato spazio ad inquietudini, ulteriori.

Nella Weltanschauung del sapiens sapiens, insapientito da millenni di sua razionalità, manca, spesso, la rappresentazione del mondo al di fuori di noi come umbratile e precario. Non dovremmo invocare (troppo) la stabilità come una regola valida a tutti i costi ed a prescindere, ma piuttosto favorire la nostra capacità di farci resilienti. Questa operazione, che semplifico con la definizione di capacità di stare sul pezzo, può essere implementata da informazioni articolate in modo congruente, in grado di sostenerci nella reciproca fiducia e di favorire adeguamenti necessari a ristabilire un quotidiano “tollerabile”.

Navigare in una sorta di universo indifferenziato, spesso frammentato in piccoli mondi fuori di noi, rende complicato capire cosa possiamo aspettarci l’uno dall’altro, soprattutto solleva una domanda vera, magari in punta di bisbiglio: chi siamo ora e quale città abbiamo in animo oggi di (voler?!) abitare?

Intanto sul muro d’ingresso del liceo scientifico Alfredo Oriani di Ravenna, istituto superiore che in fase di chiusura dei locali scolastici ha provveduto ad organizzarsi con la didattica a distanza, spicca forse un invito ad immaginare il futuro: insegnateci ad essere felici!!

I due punti esclamativi finali diventano più esaustivi di ogni ulteriore commento.

Riferimenti bibliografici

*informazione desunta da Quando Freud e Jung passarono da Ravenna che segnò il loro subconscio in www.ravennaedintorni.it/blog/la-romagna-in-pagina letto il 28.02.2020

**riporto la parte finale della poesia

Gravida di potenze è la tua sera, / tragica d’ombre, accesa nel fermento / dei fieni, taciturna e balenante. / Aspra ti torce il cor la primavera; / e sopra te che sai passa nel vento / come pòlline il cenere di Dante.(Tito Rosina, Attraverso le città del silenzio di Gabriele d’Annunzio, fonti e interpretazioni, Giuseppe Principato, Messina, 1931

***Intervista di Andrea Purgatori ad Umberto Galimberti in Sindrome cinese Puntata di Atlandide del 26.02.2020

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares