Tutti abbiamo sentito parlare di mentoring, ma in pochi conoscono il reverse mentoring.
Attraversiamo una fase storica in cui, per la prima volta, tre diverse generazioni abitano le organizzazioni: i Millennials o Generazione Y (nati tra il 1980 e il 2000), gli X (nati tra il 1960 e il 1980) e i Baby Boomer (nati tra il 1943 e il 1960). Tale convivenza pone certo alcune problematiche nuove ma anche tante e diverse opportunità. Sono queste le basi per costruire un ponte di dialogo intergenerazionale, che valorizzi le peculiarità esperienziali, ma non un mero processo di trasferimento di conoscenze e competenze tecniche dal senior al junior (relative, ad esempio, all’esperienza professionale maturata nell’organizzazione) o dal junior al senior (spesso sulle competenze digitali o delle conoscenze linguistiche), bensì un luogo ideale in cui incontrarsi, al di là dei ruoli e delle mansioni, per esprimere opinioni, presentare progetti, dare suggerimenti per il miglioramento del clima o delle politiche aziendali, maturate nel proprio percorso di vita personale e professionale.
È utile, a tal fine, dotare l’azienda di strumenti dello smart working, creando anche piattaforme social interne, presentare questionari aperti alla compagine del personale, al fine di creare occasioni di approfondimento reciproco e condivisione di esperienze su tematiche diverse, creando una base comune, soprattutto rispetto ad alcune delle principali tematiche oggetto di discussione: work-life balance e conciliazione, senso di appartenenza, motivazione al lavoro.
Il reverse mentoring diviene, quindi, un utile metodo di confronto per sfatare stereotipi nella lettura di una generazione sull’altra, e rafforzare la colleganza con sani legami alla filosofia aziendale.
Il Maestro non può essere tale se non è anche a sua volta allievo.
Imparare è un’arte, insegnare è un’arte, ma imparare è cento volte superiore all’insegnare