Archeologa e ricercatrice, Rita Auriemma è docente di Archeologia Subacquea presso la Facoltà di Beni Culturali del Salento e collabora da vari anni con l’Università di Trieste e con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, oltre che con il Politecnico di Torino.
Si ritiene “una privilegiata”, perché questo lavoro le permette ogni giorno di scrivere una pagina nuova. “È un mestiere che non riesco a scindere dalla mia vita – racconta Rita Auriemma –. È fatto di ricerca ma anche di continuo confronto con gli allievi, che poi diventano colleghi, a cui questo Paese non riconosce la dignità e le risorse che meritano. Il settore dell’archeologia subacquea potrebbe fare dell’Italia la numero uno al mondo, perché già oggi il contributo al Pil di queste scoperte rappresenta il 16%, ma potrebbe essere molto più consistente”.
Il suo rapporto con il mare è viscerale, imprescindibile: “Il mare è come un ponte tra uomini e terra, un collezionista di storia – dice la ricercatrice –. Le emozioni ci sono sempre e si rinnova ogni volta il piacere della conoscenza. Ricostruire le vicende e le microstorie che poi costituiscono la storia, stupisce ogni volta”.
Ricostruire storie è anche l’obiettivo del Museo del Mare Antico di Nardò, di cui Rita Auriemma cura la progettazione e la direzione scientifica. Nato grazie alla collaborazione tra Comune, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto e Dipartimento per i Beni Culturali dell’Università del Salento, il museo ospita importanti reperti di età romana provenienti da indagini archeologiche effettuate nel mare e lungo la costa neretina.
L’attuale campagna di scavi a cui sta lavorando l’archeologa si svolge all’interno di un vasto progetto che coinvolge Italia e Croazia, denominato UnderwaterMuse e finanziato nell’ambito del Programma di cooperazione transfrontaliera Interreg V-A Italy-Croatia 2014-2020. L’obiettivo è quello di creare dei parchi archeologici sommersi, favorendone il più ampio accesso possibile al pubblico, anche attraverso l’uso narrativo e comunicativo della realtà virtuale. L’intervento pilota si è svolto di recente nell’insenatura di Torre Santa Sabina – Baia dei Camerini, in provincia di Brindisi.
“Dall’antichità ad oggi c’è stato un forte innalzamento del livello del mare – spiega la ricercatrice – che ha modificato l’aspetto delle coste, sommergendo imbarcazioni e tesori del passato. La furia dell’acqua, infatti, portava le navi a scontrarsi contro baie e coste, danneggiandole e facendo perdere brocche e altri carichi, che nel tempo si sono mescolati e sovrapposti, miscelandosi ad altri materiali. Relitti di imbarcazioni di navi si sono conservate fino a noi, in particolare uno romano di media-tarda età imperiale risalente al terzo/quarto secolo d.C, a pochissimi metri di profondità dalla costa, di cui si potrebbe fruire facendo delle immersioni. Ma abbiamo trovato anche resti di una galea veneziana, l’evoluzione delle antiche navi greche. Nel nostro mare ci sono 3600 anni di storia sommersi”.
Grande attenzione va dedicata, secondo Rita Auriemma, all’accessibilità pubblica dei beni ritrovati: “Il patrimonio archeologico sommerso deve essere fruito: più si conosce il bene, più esso è tutelato. In questo senso ci impegniamo per una conservazione attiva e proattiva, che produca anche una ricaduta sul territorio, promuovendo azioni per migliorarne l’accesso. Il riferimento è la Convenzione di Faro del 2005, che cambia il punto di vista in materia di conservazione e valorizzazione dei beni culturali, affidando un ruolo attivo ai cittadini, alle comunità locali e ai visitatori”.
Una nota della ricercatrice, infine, sui presupposti che sono alla base di ogni tipo di ricerca archeologica, sia sotto terra, sia sott’acqua, sia in montagna: “La prospettiva, il punto di vista, la motivazione non cambiano. Chi fa ricerca archeologica deve essere mosso da un forte spirito di curiosità, mettendosi al servizio della causa che decide di perseguire”.