«Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).
La solennità di san Giuseppe ha ricordato ai cristiani la significativa figura dello sposo e del padre per eccellenza. Tuttavia, in un momento storico così complesso e problematico, lacerato da crisi geopolitiche di elevata intensità, turbamenti pandemici di grande risonanza psicologica e di smarrimento esistenziale profondo e perturbante la figura del santo sposo si è imposta – questa almeno la mia speranza – alle coscienze sofferenti, smarrite, disorientate delle persone di ogni credo, di ogni orientamento e finanche, questo è ancora il mio augurio, a coloro i quali non conducono una vita sostanzializzata dalla fede. Già lo storico medievale Étienne Gilson, tra molti altri, aveva acutamente osservato come la religione cristiana, lungi dall’essere soltanto una fede, sia al contrario una vera e propria visione del mondo, una cultura per l’appunto. Per questo motivo le figure di maggiore peso e significatività della cristianità possono assurgere a tutti gli effetti al ruolo di modelli per tutti, a prescindere dalle credenze, dagli orientamenti e dalla formazione dei singoli. Alla luce di questa premessa, io vorrei soltanto limitarmi ad osservare come la figura del santo custode sia oggi un modello di indicibile valore per tutta una serie di dimensioni dell’umana esistenza che versano in una condizione di assoluta confusione e terribile precarietà. Mi riferisco alla dimensione familiare, rappresentata perfettamente dalla famiglia di Nazareth, oggi deprivata di quella solidità, identità e fortezza che invece Giuseppe e Maria, nel fervore di una relazione sponsale pura e genuina, ancora oggi – sebbene inascoltati – continuano a testimoniare vigorosamente. Ma il riferimento è anche alla figura del padre Giuseppe, amorevole, giusto e lungimirante, in grado di custodire il mistero del figlio in una relazione di purezza, amore e saggezza. Di tale figura, oggi evaporata (il riferimento lacaniano è di Massimo Recalcati, al quale presto dedicherò un contributo per questa rivista), oggi il mondo familiare e sociale ha disperatamente bisogno. Non il padre-padrone che, da solo, esercita un potere sterile, vacuo e privo di ogni lungimirante saggezza, ma il padre amorevole e retto, che pur nella limitatezza della condizione umana, Dio ha comunque scelto come custode di suo Figlio, Gesù Cristo, salvatore del mondo. Nell’esortazione apostolica Redemptoris Custos di san Giovanni Paolo II (15 agosto 1989) è scritto che la paternità di Giuseppe «passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia», n. 7. In effetti è difficile che il padre, in quanto fonte della legge, possa assolvere al suo rispettabile compito al di fuori di quel cosmo ordinato che è la famiglia, in quanto società cellulare e fondamentale nella quale l’umanità trova il suo coronamento più alto e il suo inizio più florido. Ancora nell’esortazione apostolica del santo Padre è scritto, al n. 8, la paternità di Giuseppe «si è espressa concretamente “nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa” (Insegnamenti di Paolo VI, IV [1966] 110)». In questo momento drammaticamente lacerato dalla guerra russo-ucraina il pensiero corre ai padri che, perdendo la proprio dimora, offrono la propria vita per mettere in salvo mogli e prole. Gesti eroici di indicibile ed inimmaginabile sofferenza con i quali si può soltanto empatizzare – se possibile – e che richiedono rispetto, aiuto (laddove sia possibile) e onore. Che san Giuseppe sia per loro fonte d’ispirazione, coraggio e perseveranza. A tal proposito che essi ricordino cosa disse l’angelo che apparve in sogno a Giuseppe: «alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Giuseppe, il padre amorevole e protettivo, chiamato all’altissimo compito della custodia del Signore, sia esempio di fortezza e perseveranza e s’imponga per tutti, pur nella diversità dei credi e degli orientamenti di ciascuno, come guida e faro.