Una fotografia che vede nel gioco un elemento fondamentale e vuole riuscire a portare il soggetto ad avere una visione autoironica di sè, sperimentando e giocando, spiazzando e spiazzandosi.
Guido Harari, la musica tradotta in versi, o meglio, in scatti fotografici, ha quello spirito di chi ama la scoperta e vuole narrare, che da sempre lo accompagna nei suoi lavori, come quelli con Fabrizio de André, ma non solo, dove il taglio artistico surreale supera quello fotografico e ne fa un’opera unica.
L’idea è offerta dal soggetto, da ciò che esprime e come lo esprime, e come l’autore riesce a tradurre la stessa idea in emozione.
Guido, uomo cosmopolita e grande viaggiatore, fa dei suoi scatti frammenti espressivi, dialogici ed empatici, in cui a parlare è lo sguardo e ciò che gli occhi vogliono raccontare.
Perlustrare l’animo di artisti, grandi della musica, è ciò che Guido è riuscito a fare anche con le sue mostre, tra cui spicca la “Wall of Sound”, perché “senza la fotografia non può esserci un’esperienza complessiva della musica – ci spiega Guido che così procede – è un modo per raccontare gli artisti, realizzando una galleria dedicata all’immaginario della musica, con cui narrare la storia di epoche differenti.”
La wall of sound gallery è oggi non solo una galleria, ma un rullino che si dispiega al contrario, partendo dal fondo per arrivare all’essenziale e catturarne l’aspetto, o meglio il ciak più vero.