Terra delle Quaglie, rifugio dei gabbiani, porto tranquillo o più semplicemente U’ Scogghiu (lo scoglio), come viene chiamata in dialetto dai suoi abitanti, l’isola di Ortigia assume nel corso dei secoli nomi e coloriture diverse, che lasciano sempre intatta la sua identità di luogo destinato all’accoglienza. Il mare e lo Scirocco, che nei loro processi millenari ne hanno delineato il profilo, hanno segnato il destino di questo lembo di Sicilia a metà strada tra Oriente e Occidente, tra Cartagine e Roma, spingendo le navi greche e cristiane fra le braccia del suo porto. Ed è per questo che, percorrendo i suoi vicoli labirintici e attraversando le sue innumerevoli piazzette, è possibile vivere un’esperienza unica e respirare tutto il profumo del Mediterraneo. Scoprire l’isola di Ortigia significa, venire a contatto con culture diverse, ma soprattutto conoscere la Sicilia nei suoi aspetti più intimi. Palazzi, cortili, chiese e conventi cedono il passo a templi, castelli e fontane, componendo un mosaico abilmente cucito in pietra bianca, le cui tessere preziose risplendono al sole. Porta spazio-temporale, tra cielo e mare, è il ponte Umbertino, che collega l’isola alla terra ferma. Dopo averlo attraversato, si è subito accolti dalle colonne monolitiche del Tempio di Apollo che, come alberi di pietra rivelano le radici greche della città. Da qui comincia un possibile itinerario – perché ce ne sono tanti – che, attraverso i palazzi di epoca fascista lungo corso Matteotti, conduce, prima ai piedi della Dea Artemide, raffigurata al centro della fontana di piazza Archimede, poi sotto lo scudo dorato di Atena, il cui ricordo aleggia ancora tra le navate dell’antica Cattedrale in piazza Duomo. Qui non bisogna lasciarsi sfuggire uno dei capolavori dell’arte del Seicento custodito all’interno della Chiesa di Santa Lucia alla Badia; dal suo altare maggiore il Caravaggio racconta la storia della santa patrona di Siracusa, svelando all’osservatore più attento i segreti della città sotterranea. L’anima di Ortigia dimora, infatti, anche sottoterra, dove è possibile ammirare le tracce dei primi abitanti dell’isola, ancora oggi custodite all’interno dell’Artemision. Allontanandosi dalla Piazza e percorrendo le anguste stradine, l’architettura rivela le ferite del tempo. Se i terremoti, lungo il corso dei secoli, ne hanno scalfito la bellezza, Ortigia nel Settecento rifiorisce ammantandosi di foglie, colonne, pinnacoli e volute, indossando cioè quella raffinata maschera barocca che ancora oggi la contraddistingue. Al calar del sole il volto di Ortigia si tinge di rosa, arancione e rosso cupo, le sue strade si affollano di visitatori e si alza il sipario sull’ottocentesca Sala Grande del Teatro Massimo Comunale.
NON SOLO ARCHITETTURE
Ma l’isola di Ortigia non è solo un complesso di architetture e di monumenti, essa è un vero e proprio teatro urbano, la cui anima costituisce la vera essenza della città: un’essenza fatta di idee, parole, modi di fare, luci e profumi. L’isola è il suo Mercato, affastellato di frutti esotici, ombrelloni e spezie; ma è anche il suo Porto fatto di mare e tradizioni. Da 2750 anni Ortigia si veste di azzurro, colore rubato agli Dei per proteggere Aretusa, la ninfa con cui l’isola è identificata, e per tingere le sue acque cristalline e trasparenti. L’acqua è il suo elemento vitale, è la prima cosa che si incontra entrando in Ortigia e l’ultima di cui gode la vista lasciando l’isola.
Latomia del Paradiso e Orecchio di Dionisio
Le latomie erano cave di pietra utilizzate nell’antichità come prigioni, molto diffuse nel siracusano. La più nota è quella chiamata “del Paradiso”, che ospita il famoso “Orecchio di Dionisio”.La leggenda narra che fu proprio Dionisio di Siracusa a scavarla. Grazie alla forma singolare di questa grotta il crudele tiranno era in grado di ascoltare di nascosto, tramite una fessura realmente visibile all’interno della caverna, i discorsi dei suoi nemici imprigionati. In effetti la grotta dell’Orecchio di Dionisio vanta un’eccezionale acustica, tanto che si dice che ogni suono viene amplificato fino a 16 volte.
Anfiteatro Romano di Siracusa
Sempre all’interno dell’area archeologica della Neapolis si trova l’Anfiteatro Romano, costruito tra il III e il IV secolo A.C.. Si tratta di uno dei più grandi anfiteatri romani in Italia, secondo solo all’Arena di Verona. La parte inferiore, cioè quello che è visibile oggi, è costruita nella roccia sfruttando il naturale pendio del terreno. La parte superiore invece fu completamente demolita nel XVI secolo e le sue pietre vennero usate per la costruzione di fortificazioni spagnole sull’isola di Ortigia.
Teatro Greco di Siracusa
Il Teatro Greco venne costruito nel V secolo avanti Cristo. Passò attraverso numerose ristrutturazioni nei secoli successivi ed ora è il luogo di interesse più famoso di Siracusa. Anche in passato ebbe un ruolo di grande prestigio essendo l’edificio per spettacoli più importante del mondo greco.E’ davvero maestoso ed è costruito sui fianchi del colle Temenite sfruttando le conformazioni naturalistiche. Si sale sugli scalini scolpiti nella roccia fino ad arrivare in cima al colle, da si ha una vista magnifica sulla città. Sulle gradinate si ipotizza potessero prendere posto 15.000 persone circa. I personaggi illustri occupavano le prime file e il resto della popolazione sempre più in alto in base al ceto sociale. Ad esempio il settore più estremo era riservato ai meno abbienti. Oggi si organizzano rappresentazioni teatrali classiche, principalmente tragedie greche.