È stato proprio, scrivendo l’articolo precedente, mentre ascoltavo le notizie del TG, che mi sono chiesta quanto siamo abituate/i a non stare quasi mai in silenzio?
“Silenzio”, penso alla parola, e mi viene da associarla a “solitudine”.
Da lì mi vengono in mente due libri “La solitudine dei numeri primi” (di Margaret Mazzantini) e “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare” (di Susan Cain). In un mondo iperconnesso, sempre informato, pieno di gente, dove le relazioni sono una “risorsa sociale” importante nel mondo del lavoro, della vita privata e delle relazioni è sempre più difficile avere momenti di silenzio. Di silenzio e senza lo scandire del tempo.
Per paura, disabitudine o mancanza di consapevolezza?
Eppure, quando capita, se non volontariamente cercato, questo momento di “eremitaggio” o di “orsaggine”, dà come prima sensazione quella dello smarrimento. E ora? Cosa faccio? Cos’è questo tempo/spazio “vuoto”? È solo passato questo iniziale momento di sorpresa che ci si adagia, facendosi trasportare dal flusso libero dei pensieri.
Una ricerca di psicologi/ghe e sociologi/ghe ha svelato l’importanza della solitudine nello sviluppo della creatività, nel rientrare in contatto con il lato più profondo di sé, della propria identità. In generale, i doveri della socialità ci portano a indossare una “maschera”, come avrebbe detto Lacan, che cela il nostro Io più spontaneo.
La solitudine, in questo senso, ci permette di dimettere questa “copertura” che indossiamo e di essere realmente noi stesse/i. È in questi frangenti che si libera anche la creatività’, ci si sofferma sul proprio mondo emotivo, si elaborano le sensazioni e le informazioni che sono rimaste memorizzate a livello superficiale.
In “Perché’ le menti più brillanti necessitano di solitudine” (http://psicoadvisor.com/perche-le-menti-piu-brillanti-necessitano-solitudine-6460.html) viene appunto descritto il vantaggio del silenzio e della solitudine nello sviluppare la propria creatività, nell’entrare in contatto con la propria interiorità, la concentrazione, l’attenzione, le risorse interne. Una condizione che favorisce la mente, ma anche la manualità, lo sport, il corpo. Non è un caso che molte/i ricerchino una volontaria “reclusione” nell’isolamento per scrivere libri, incidere dischi, dipingere quadri, allenarsi in una disciplina sportiva. Un esempio per tutti sono le arti marziali, in cui, il/la praticante trascorrono anche giorni interi immerse/i nel silenzio a prepararsi spiritualmente e fisicamente. Oppure, coloro che per un periodo scelgono la riservatezza di un eremo sperduto per “recuperare il contatto con sé stesse/i”.
Una scelta o una necessità.
La riflessione che mi viene da fare, a proposito della società in cui viviamo, è che c’è molto rumore e un profluvio di informazioni che sentiamo, ma questo non significa che ci sia comunicazione. Infatti, ho detto “sentiamo” e non “ascoltiamo”. Anzi. Sono più le persone immerse o schermate dal monitor del PC, dallo screen del cellulare, dalle cuffie e dal joystick del videogame di quelle che effettivamente parlano con altre. È relativamente più frequente che si parli “ad” altre, piuttosto che “con” altre persone. Per esempio, in TV, la pubblicità, lo spot sponsorizzato ecc.
Quindi, viene da chiedersi, che tipo di “comunicazione” intendiamo quando parliamo di “rumore” che sentiamo e che ci distrae da noi stesse/i?
Questo potrebbe essere argomento di un altro articolo….