Per la settimana di San Valentino (12-17 febbraio 2019), il Teatro Ghione di Roma presenta Le notti bianche di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, uno spettacolo diretto da Francesco Giuffrè e interpretato da Giorgio Marchesi e Camilla Diana.
In una “bianca” notte pietroburghese, passeggiando sul Lungoneva, un anonimo e solitario sognatore vede un uomo importunare una ragazza e interviene per difenderla. Colpito dalle lacrime che scorge nei suoi occhi, il giovane decide di restarle accanto ancora un po’. È la prima volta che sente il bisogno di comunicare, di condividere la propria solitudine con qualcuno, così incomincia a parlare con lei, Nasten’ka, una ragazza fragile e ferita, delusa dalla vita e, soprattutto, dall’amore, dal quale invano aveva atteso una via di salvezza. Il dialogo si fa, sin da subito, intimo e appassionato, come se i due si conoscessero da sempre e si fossero per caso ritrovati nello stesso sogno. In quella dimensione onirica, le loro esistenze spontaneamente si fondono e integrano a vicenda, rendendo possibile la svolta radicale, per entrambi impossibile nella realtà. Per Nasten’ka, soffocata da una vecchia nonna cieca, che in tutto dipende da lei e che la tiene in casa legandola al proprio vestito con una spilla, il sognatore potrebbe essere il compagno ideale, affidabile, empatico, gentile, pronto a liberarla dai sacrifici e dalle umiliazioni quotidiani; per il protagonista, del tutto inesperto del mondo e dei labirinti che uniscono (e, non di meno, dividono) gli esseri umani fra loro, la ragazza potrebbe essere la prima ed unica (eccezionale) occasione di iniziare a vivere davvero. Per quattro notti, lui l’ascolta, la consola e la asseconda nel progetto di un futuro insieme, felice e più fortunato per entrambi. Ma Nasten’ka sta aspettando e disperando per un altro, colui che, un anno prima, le aveva promesso amore e libertà, e che ora teme l’abbia dimenticata. La quarta notte, quando ormai la ragazza sembra decisa a voltare pagina, l’atteso spasimante torna per tener fede alla promessa, interrompendo così il sogno a un passo dalla sua realizzazione.
Nonostante il finale non troppo lieto, la storia ben si presta all’esaltazione del sentimento amoroso, suggerendo e una interessante riflessione sulla sua natura, immateriale e sfuggente. Proprio come un sogno, l’amore irrompe, contro o fuori tempo, bizzarro, quando non del tutto assurdo, enigmatico e talvolta spaventoso, dolce o travolgente, sempre e comunque dinamico e metamorfico; può coglierci alla sprovvista e ardere per pochi istanti o infiltrarsi lento e silenzioso, per durare una vita; e, proprio come un risveglio, la sua fine può essere brusca e dolorosa, o graduale, indolore o, in qualche caso, persino gradita. In qualunque forma si presenti, attraversa la vita per lasciare un’indelebile scia luminosa, tanto più accecante e persistente quanto più disinteressata. È per questo che, senza rancore, ma, piuttosto, con sincera e inestinguibile gratitudine, il sognatore assicura perdono e augura felicità a Nasten’ka, concludendo: «Un momento di completa felicità! È forse poco nell’arco di una vita intera?».