Ho appena finito di vedere “Springsteen on Broadway”, su Netflix dal 15 Dicembre.
Semplicemente folgorante.
Sulla piattaforma web è disponibile l’intero spettacolo teatrale, scritto e interpretato dalla celebre rockstar dal 12 Ottobre 2017 al 15 Dicembre 2018. Inizialmente doveva durare solo un paio di mesi, poi l’affluenza dei fan è stata premiata, tanto che ora chiunque abbia un account Netflix ne può disporre. Il Boss non si è risparmiato, come al solito, ma ancora più a fondo: nessun tour stavolta, e nessun concerto-fiume di quasi quattro ore per folle oceaniche, ma un anno intero a New York, al Walter Kerr Theatre, 975 posti, con lo stesso spettacolo/monologo intervallato da meno di venti canzoni. Uno spettacolo che è più una confessione, una “lunga preghiera”. Springsteen infatti propone uno show molto poco “spettacolare”, a partire dalla sua presenza solitaria sul palco (a parte l’accompagnamento per due canzoni di Patti Scialfa) e dalle interpretazioni musicali scarne, al piano o alla chitarra. Springsteen sembra voler ridurre all’osso la sua poetica e la sua vita stessa, cercarne il succo, l’essenza, sembra voler regalare al pubblico per il quale fatica da sempre un compendio generale e una chiave di lettura per la sua arte e per la sua anima. Proprio a partire dalla sua esperienza personale, dai ricordi di gioventù, dalle riflessioni sul rapporto con il padre, dalle confessioni sui suoi rimpianti e i suoi sogni, Springsteen arriva a commuovere la sala, e ognuno dei suoi ascoltatori. Arriva a dire qualcosa che pur nascendo dentro di lui riesce ad arrivare con una forza inarrestabile nel cuore di chiunque lo ascolti, a dire qualcosa sulla vita e sulla storia di ogni uomo (e di ogni americano in modo particolare ma non esclusivo) che lotta, gioisce, soffre e spera.
Bruce Springsteen non è una delle tante rockstar, non è semplicemente un divo, un personaggio famoso con molto carisma. Perché lui ha una certa idea sulla provenienza quel carisma, il che è importante. “La storia ha importanza”, dice, e lui ha sempre raccontato le storie che incontrava, storie di spiriti nella notte, di autostrade di tuoni, di una terra di sogni e speranza. Forse ha intuito infine che chi gli dà quel carisma, cioè quella grazia, è niente meno che Dio, da cui si sente “circondato” fin dall’infanzia. Springsteen, insomma, è un profeta.
Le due ore e mezza di parole e canti sussurrati o ringhiati dal rocker del New Jersey superano dall’interno la logica dello spettacolo e al contempo vanno oltre ogni narcisismo da star. Né clownesco né intimista, Springsteen non vuole annoiare ma neanche semplicemente intrattenere lo spettatore: vuole parlargli, dirgli qualcosa di importante, “qualcosa di critico, al momento opportuno”. E il suo messaggio non è una nuova scoperta di un genio, un’opinione illuminata, un vezzo intellettuale, ma una prorompente spinta vitale, un flusso di energia pura che viene dalle viscere e dal sangue italo-irlandese di un americano di provincia, è una testimonianza di vita, gioia e dolore che “ci ricorda chi siamo e da dove veniamo”, con i nostri fantasmi e i nostri antenati, e che dunque spinge a cercare la “comunione delle anime” nella ricerca della verità e della speranza.