Certi articoli si vorrebbe non scriverli. Ma il bisogno di elaborare il lutto è troppo grande, dunque proviamo a dare conto di quello che è successo.
Groucho Marx in una battuta diceva: «guardate quest’uomo: sembra un deficiente e parla come un deficiente, ma non lasciatevi ingannare: è veramente deficiente!». La frase può applicarsi al caso della nuova trilogia Star Wars: che se poteva ingannare al principio, nonostante i chiari segni di sbandamento, si è poi confermata già dall’ottavo episodio un disastro su tutta la linea.
È dura doverlo ammettere. È triste. La scelta da fare è fra l’indifferenza e il coraggio dell’analisi. Tutti e tre i film, ma soprattutto gli ultimi due, invitano a un approccio superficiale, bidimensionale, invece la risposta che mi sembra migliore è la presa di coscienza, la drammatica constatazione di una perdita. Abbiamo perso l’epica. Si è spento un fuoco importante. Quello di una galassia lontana lontana.
I problemi non sono solo i quaranta personaggi in cerca di identità, la storia disordinata, i continui e inutili colpi di scena, l’inesistenza di un vero dramma per la galassia né per la protagonista, il punto principale da cui deriva il resto è che non si sa più cosa sia la forza. Segnale emblematico: il personaggio non citato o ripreso neanche in spin-off è Obi Wan Kenobi, detentore di una saggezza troppo grande per essere maneggiato.
Il punto è che la Disney, diventata una goffa ed elefantiaca industria, già colpevole della corruzione della fiaba dello Hobbit in un giocattolo plasticoso, se alle volte ingrana qualche colorato popcorn movie Marvel, non era strutturalmente capace di comprendere e interpretare la storia della forza all’interno della famiglia Skywalker. Questo perché non aveva dietro un autore (Lucas non è stato neanche invitato alla prima), un volto, una sensibilità artistica autentica, e ha invece agito in modo impersonale e macchinoso, come una grande Morte Nera che ha disintegrato una storia che meritava di continuare in modi diversi.
La domanda che allora dobbiamo porci oggi con urgenza è la seguente: in questa lunga transizione di inizio secolo in cui poco a poco cadono i miti del secolo precedente, saremo infine ancora capaci di scoprire in modo nuovo l’epica? Sapremo imparare a raccontare quelle storie che sono eternamente rivoluzionarie? Sapremo metterci in ascolto e interpretare autenticamente quel «campo energetico creato da tutte le cose viventi» che «ci circonda, ci penetra, mantiene unita tutta la galassia»? Una domanda e una sfida, nonostante le apparenze, epocale.