Se non eravate a conoscenza del nome del più noto fumettista di ambiente romano, ora non riuscite più a togliervelo dalla testa. Da quando Strappare lungo i bordi è sbarcata sulla piattaforma di streaming Netflix Italia, il brusio di commenti positivi e negativi degli spettatori non ha mai cessato di far rumore, soprattutto sui social.
Strappare lungo i bordi deve il proprio titolo ad una frase pronunciata dal protagonista in un episodio della serie: “Noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così: che bastava strappare lungo i bordi, piano piano”. Si tratta dell’espressione romanzata di uno dei maggiori drammi delle nuove generazioni di lavoratori, una “nuova generazione” che affonda le radici negli anni ’80.
Si chiama Precariato, ed esattamente come l’altro ricercato di questo periodo storico, il Patriarcato, ha un’effigie con la scritta “Wanted” sulla testa. Parola d’ordine: sparare a vista. E se poi l’obiettivo viene mancato, oppure confuso, oppure non viene raggiunto, cosa succede? E cosa accade se intere schiere di giovani – di quelli che giovani lo sono ormai da un po’ – non sono riuscite a centrare il bersaglio?
Accade che il più coraggioso di questi giovani, oppure il più stanco, o il più arrabbiato, oppure il più vigliacco, decida di tracciare un profilo psicologico del fantomatico Precariato e che ne affigga il ritratto su ogni portone di casa di ogni città e paese. Anzi, non sul portone di casa, ma davanti al divano del soggiorno, ben visibile ad ognuno degli inquilini aventi diritto sui cuscini di quello stesso divano. Perché, si sa, un nemico si batte più facilmente se si è in gruppo. Eppure, il Precariato è sempre stato inseguito da combattenti solitari, spinti dalla stessa foga di rivalsa e dalla stessa indignazione, ma soli.
Che 120 minuti di una serie tv riescano in ciò che quasi 20 anni non hanno potuto nulla?