Oggi la Chiesa cattolica celebra uno dei suoi pilastri, san Tommaso d’Aquino (1225-1274). Per questa rivista ho già dedicato un contributo all’Aquinate, esponendo sinteticamente la sua concezione della fede. Ora vorrei soltanto limitarmi ad invitare il lettore paziente e curioso ad una lettura non integrale (dato che la produzione del Dottore Angelico è tanto sterminata da non essere padroneggiata nemmeno dagli addetti ai lavori) ma perlomeno attenta di opere selezionate sulla base delle esigenze intellettuali e culturali del lettore stesso. Ebbene, la produzione di Tommaso d’Aquino, nella sua incontenibile vastità, è in effetti una sorta di enciclopedia filosofico-teologica che manifesta un impegno, una dedizione e una capacità di penetrazione di tematiche molto complesse che hanno quasi del miracoloso. Si pensi soltanto a quanto accadde durante il Concilio di Trento (1545-1563). Pochi sanno che nell’aula conciliare la Summa Theologiae di san Tommaso fu posta al centro, proprio accanto alla Bibbia. Questo fu un fatto simbolico assai importante poiché ci testimonia il valore paradigmatico che assunse l’opera tomista per la Chiesa Cattolica. Pochi sanno, inoltre, che Giovanni XXII, che si occupò della canonizzazione dell’Aquinate (siamo nel mese di luglio del 1323) richiese che la Summa Theologiae venisse adottata come testo di riferimento primario in teologia. Ho voluto ricordare questi due episodi perché mi sembravano, oltre che particolarmente significativi, anche utili per testimoniare l’importanza che il Dottore Angelico assunse nel tempo in un cammino che non fu, purtroppo, né semplice né esente da malintesi. Vorrei anche qui limitarmi a ricordare soltanto un fatto emblematico che da sempre mi ha colpito per la sua radicalità. In materia di antropologia l’opera più matura di Tommaso sono senza dubbio le Quaestiones disputatae de anima. Si tratta di un’opera assai complessa, la cui stesura risale al periodo del primo soggiorno di Tommaso in Italia (più esattamente la stesura è da collocare tra il 1266 e il 1268), e con più precisione esse furono discusse nello studio teologico di S. Sabina, a Roma, probabilmente nell’arco cronologico di un anno accademico completo. Ebbene, una tesi sostenuta dal Dottore Angelico nella quaestio 9 (dedicata al problema dell’esistenza di un intermediario, vale a dire di un’entità metafisica intermedia, tra l’anima e il corpo, che l’Aquinate negò risolutamente) venne addirittura condannata dal Vescovo di Canterbury, Robert Kilwardby, nel 1277 poiché ritenuta in un certo senso prova di un presunto materialismo di Tommaso. La revoca di questa condanna avvenne in seguito, su richiesta di Giovanni XXII. La complessità della questione metafisico-antropologica mi vieta di entrare nel merito della questione. Qui mi limito soltanto ad osservare come, in effetti, quella che è stata, ed è ancora, la grandezza dell’Aquinate, vale a dire – in campo antropologico – il tentativo di riconoscere ad un tempo l’unitarietà della natura umana e la possibilità dell’anima di trascendere il corpo non sia stata compresa adeguatamente fin da subito. Questo ci dimostra come la grandezza di un pensatore non sia affatto un dato aprioristico ma una conquista, spesso non facilmente conseguibile e che richiede tanti sforzi e tanta perseveranza. Tommaso d’Aquino è un pensatore che ancora oggi ha qualcosa da dirci e da insegnarci (un docente della Pontificia Università Lateranense parlò dell’opera tomista come di un «cantiere aperto») e la sua celebrazione ci ricorda l’importanza di una conoscenza adeguata e sempre più approfondita delle colonne della nostra fede.