Questa mattina ho accolto con grande piacere l’invito nella nota trasmissione televisiva Storie Italiane (Rai Uno) per pronunciarmi sul tema complesso e assai delicato delle molestie negli istituti scolastici. Ringrazio la dott.ssa Eleonora Daniele, conduttrice della trasmissione, per l’opportunità di presentare pubblicamente le mie idee su questa tematica. Troppo spesso gli episodi di molestie vengono trattati in modo assai generale e astratto, dimenticando che la parola molestia è polisemica e il suo significato va determinato caso per caso, nell’irripetibilità assoluta dei singoli fatti che si realizzano. È infatti nella particolarità delle situazioni concrete – quindi non astratte e generali – che la molestia acquista il suo significato: molestia è una battuta infelice in certe circostanze, molestia è uno sguardo insistente quando è determinato da intenzioni professionalmente inappropriate, molestia è il contatto fisico ingiustificato, e via così. Affinché si possa parlare di molestia, però, è essenziale capire se il comportamento intrapreso (visivo, verbale, fisico) sia privo di un significato educativo chiaro e quindi professionalmente rilevante. Ad esempio molte tecniche messe in atto dagli insegnanti specializzati in attività di sostegno didattico (categoria alla quale appartengo) richiedono veri e propri contatti fisici, ma non per questo è immediatamente lecito concludere che sempre e comunque si siano attuate molestie. Questo è un chiarimento necessario – quasi una rassicurazione – per tutti i docenti impegnati in attività didattiche di supporto che inevitabilmente, prima o dopo, si trovano a dover interagire a stretto contatto con gli studenti. Affinché si parli di molestia, infatti, è necessario che si verifichi uno sconfinamento intenzionale e consapevole verso dimensioni e dinamiche che risultano estranee ai fini dell’autentica relazione educativa.
Ritengo che dal punto di vista istituzionale sarebbe forse opportuno pensare alla possibilità di installare dei centri di ascolto (sul modello degli sportelli per l’autismo o agli sportelli di counseling e di ascolto) in tutte le istituzioni scolastiche. Tali centri, più specificamente, pur essendo ubicati all’interno dei locali della scuola, dovrebbero possedere rispetto ad essa una certa neutralità, per evitare che le testimonianze e le denunce degli studenti – purtroppo non poche – non siano minimizzate, aggirate, inascoltate o, peggio ancora, taciute da persone che hanno interessi diversi e che considerano più importante l’immagine manifesta della Scuola, rispetto alla sua intrinseca eticità. A questi centri, inoltre, gli studenti potrebbero rivolgersi non tanto, o meglio non solo, in caso di episodi conclamati ma, nel rispetto totale della privacy e con la garanzia di una giusta ed equa indagine interna, anche per tutte quelle situazioni di sconfinamento relazionale verso cui taluni attori del processo educativo a volte, purtroppo, vanno incontro. Tali sconfinamenti (battute eccessive e decontestualizzate, sguardi prolungati inopportuni, frasi provocatorie, volgari e offensive, comportamenti fortemente ambigui e sconvenienti) solitamente costituiscono il retroterra delle molestie conclamate. Gli ispettori ministeriali esterni che intervengono a posteriori e ricostruiscono la vicenda mediante le varie testimonianze sono figure sì importanti, ma non come lo sarebbero professionisti adeguatamente formati presenti direttamente nelle scuole e ai quali, in tempo reali, gli studenti offesi (o semplicemente sospettosi – laddove però il sospetto sia davvero giustificato) potrebbero rivolgersi. Le testimonianze degli studenti vengono spesso raccolte da docenti fidati o, in certi casi, direttamente dai Dirigenti (o dai rispettivi collaboratori). In un contesto ideale ciò non costituirebbe un problema, dato che ogni docente ha responsabilità di ascolto e denuncia, oltre che di supporto. Ma un centro di ascolto permanente, con personale adeguatamente formato e in contatto con la Dirigenza scolastica, con gli Uffici Scolastici Provinciali, con l’Ufficio Scolastico Regionale di riferimento e con le forze dell’ordine,
assicurerebbe una maggiore neutralità. Infine, ma non meno importante rispetto ai temi precedenti, è la cura della coscienza critica degli studenti, l’attenzione dei docenti verso la maturazione del loro libero pensiero e verso il coraggio della parola. È importante, in altri termini, che la scuola educhi la popolazione studentesca con l’obiettivo di creare uomini liberi e di salda coscienza, capaci di discriminare gli atteggiamenti opportuni da quelli realmente inopportuni, di riconoscere (intellettualmente ed emotivamente) i danni morali, di far affidamento su solide basi di valori civili e quindi pronti a denunciare sempre e comunque, a discapito delle dinamiche omertose che spesso, purtroppo, s’insidiano anche nelle istituzioni scolastiche.