Tempi duri

«“Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?… In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?”

“Nient’affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti.”»

(Fëdor Michajlovič Dostoevskij, L’idiota)

Il virus ha stravolto le nostre vite in maniera improvvisa e radicale. Abbiamo perso il contatto con la realtà che fino a un attimo prima pareva fissa e immutabile, completamente soggetta al nostro controllo. Abbiamo perso abitudini, libertà e, in molti casi, purtroppo, affetti. Mai, come in questo momento, ci si presenta l’occasione di riflettere sul valore del tempo. Marcel Proust afferma che «Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico: le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispirano lo restringono, e l’abitudine lo riempie».

Il tempo, che, prima, bruciavamo freneticamente fuori casa, fra impegni di lavoro, attività sportive e ricreative, contatti sociali, per i quali sembrava non bastarci mai, ora scivola lento e silenzioso, fino talvolta a rivelarsi troppo, per una sola giornata da trascorrere in casa o, meglio, dentro noi stessi. Qui, lo spazio e il tempo si compenetrano, creando una dimensione che accoglie passato e futuro in un eterno presente, realtà e utopia in un sogno lucido, arte e vita in un’unica apocalisse emotiva. Esplorando la nostra interiorità, assistiamo al surreale processo di liquefazione degli orologi, intuito e magistralmente espresso, quasi un secolo fa, da Salvador Dalí nel celebre dipinto La persistenza della memoria (1931), e ci accorgiamo di quanta parte della nostra vita ci lasciamo sfuggire dalle mani. Come già sosteneva, già nel primo secolo avanti Cristo, il filosofo latino Seneca, «Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne sprechiamo molto». L’attesa inerte è, infatti, il circolo vizioso in cui molti di noi lasciano consumare le ore della giornata. Coloro che non sanno cosa fare, si annoiano non facendo nulla; mentre coloro che vorrebbero fare qualcosa che non è, al momento, possibile, sperano di farlo al più presto. Si accontentano, così, di fluttuare da un’attesa all’altra, inconsapevolmente (per lo più) evocando un illuminante verso di Shakespeare: «Ho sciupato il tempo e ora il tempo sciupa me».

Altri, d’accordo con Charles Baudelaire, le trovano e provano tutte, per dimostrare che «C’è un solo modo per dimenticare il tempo: impiegarlo». Se non possono lavorare, leggono, scrivono, dipingono, giocano con la playstation, cantano, suonano, cucinano, fanno giardinaggio, si allenano, imparano nuove lingue, studiano e comprendono argomenti mai trovati affascinanti né accessibili prima d’ora, chattano e videochiamano per mantenere vivi i contatti, si informano di politica, cultura, scienza e medicina, sono attivi o, talvolta, addirittura iperattivi sui social network. La quantità continua per loro ad essere l’obiettivo, come se il valore del tempo si misurasse con il

numero delle attività svolte nell’arco di una giornata, «Come se si potesse ammazzare il tempo senza ferire l’eternità», per dirla come Henry David Thoreau.

Tuttavia, questa potrebbe essere una straordinaria occasione per orientarci verso la qualità delle cose che scegliamo di fare e del come farle. Non necessariamente si guadagna tempo accumulando occupazioni e si sperpera restando inattivi. Si tratta di saper riconoscere ciò per cui valga davvero la pena impiegarlo e il giusto momento in cui farlo. In questo modo, il tempo e la cosa a cui decidiamo di dedicarlo si valorizzeranno a vicenda, come spiega Antoine de Saint-Exupéry nel ben noto passo del Piccolo Principe: «È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante».

Con l’augurio che tutto finisca presto per il meglio, ricorda: Nankurunaisa (in giapponese: “con il tempo si sistema tutto”), ma tu, comunque, «cogli il giorno, facendo affidamento il meno possibile nel futuro» (Orazio, Odi).

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