Il progresso nella società moderna è misurabile dal grado di tecnicizzazione cui si è giunti, partendo dalla prima rivoluzione industriale all’attuale mondo digitale.
L’avvento delle prime macchine, consentì di liberare la forza lavoro umana da incombenze più gravose, ottimizzando i risultati. La logica della produzione, finalizzata al conseguimento di un utile, impose una progressiva meccanizzazione che, da un lato sgravò l’essere umano da sforzi fisici imponenti, ma dall’altro lo relegò sempre più alla ripetitività infinita della catena di montaggio. L’abilità manuale scemò e la creatività artigianale che permetteva di distinguere i manufatti, fu soppiantata dalla produzione omologata di beni atti alla catena distribuzione, ove la persona addetta fosse pienamente fungibile.
Di ciò resta nella memoria Charlot in Tempi moderni, paradossale rappresentazione degli albori industriali. Gli scritti marxisti preannunciavano il sempre più spinto sfruttamento delle masse ad opera di pochi oligarchi, cui solo la rivoluzione avrebbe potuto ribaltare le sorti. La reificazione del proletariato, enunciata da Lukas, manifestavano i timori che le forze socialiste ravvedevano nell’affermazione del capitalismo. Eppure la tecnologia conquistò ambiti sempre più ampi e donò una parvenza di leggerezza e democratico accesso ai confort, intrecciando beni voluttuari a bisogni non necessari, suggestioni del consumismo diffuso.
Col II dopoguerra la società dei consumi, supportata da una tecnologia sempre più raffinata, ha disegnato la nuova modernità, basata sul sogno americano dell’opportunità per tutti, con un nuovo termometro di successo personale, dato non dal valore individuale, ma dalla capacità di possesso materiale.
Fromm si è interrogato sul dualismo tra avere o essere, dilemma dell’umanità, reso ancor più spinto dall’attuale sistema di (dis)valori.
All’ottimismo e all’illusione di detenere risorse primarie infinite, con un progresso operato a danno dei Paesi emergenti e del Pianeta maltrattato, si è giunti ai nostri tempi in cui tutta l’incuria rischia di travolgerci pesantemente.
Siamo quindi giunti ad un bivio da cui sarà difficile tornare indietro, una volta intrapresa una scelta: utilizzare la tecnologia come strumento partorito dalla mente umana a beneficio dell’umanità o fare dello sviluppo tecnologico un mezzo di governo delle masse e rendere succube l’essere umano agli strumenti tecnologici? Saprà il mondo del lavoro cogliere quanto di positivo il progresso può mettere in campo, in termini di libertà, affrancamento dalla brutalità dello sforzo, a favore del libero pensiero? Sapranno i mercati utilizzare i nuovi mezzi di verifica, monitoraggio, programmazione, distribuzione della produzione? O, in virtù di un effimero, elitario, profitto a brevissimo termine, creare le basi per una voraginosa serie di crisi economiche e finanziarie che porteranno il sistema al collasso?
Il dado non è ancora tratto…