Il film parte da una semplice premessa, i viaggi del tempo esistono, come una scritto nel primo minuto di film ci informa, e quindi durante il secondo minuto del film passiamo dal 2050 al 2022. Adam Reed, un Ryan Reynolds che quasi sempre è nei panni dell’irresistibile se stesso, è pilota di caccia interstellari intento a sventare le catastrofi del futuro e, soprattutto, ritrovare l’amore della sua vita.
Un viaggio nelle pieghe dello spaziotempo i cui paradossi e complicazioni vengono di fondo solo evocate e successivamente e, giustamente, liquidate, in modo ironico. Incontra il suo mini-sé, un giovanissimo Walker Scobell nei panni di un Adam Reed dodicenne con il quale è subito chimica. E i due fanno faville, sono la vera colonna portante di un film che alcuni personaggi li incontra per poi lasciarli con coraggio quasi subito dopo.
Scobell e Reynolds si intendono alla meraviglia e sanno dialogare alla grande anche con l’utilizzo della prossemica dove si vede la mano di Levy, dell’interfacciarsi l’uno all’altro con i propri corpi e un condividere gli spazi assieme in quei momenti che non fanno da intermezzo tra una scena action e l’altra ma piuttosto sono letteralmente l’anima del progetto Adam.
A differenza di altri prodotti dello stesso stampo, qui si avverte un approccio genuino e onesto attorno alla tematica di un sentimento venato dalla malinconia, condito poi con una spruzzatina di immancabili riferimenti pop. Uno svolgimento che mette a confronto un grande “What if?” con un desiderio mascherato, forse celato, di un piccolo adolescente dalla parlantina sfrontata e dall’animo ferito.
Il film si presenta con le grandi star e strizzando l’occhio al cinema d’intrattenimento contemporaneo, ma il budget, i viaggi nel tempo e le astronavi non sono altro che una cortina di fumo attorno a una giostra di sentimenti mozzati e inespressi. La breve scena del bar così semplice, così pulita e forse proprio per questo così emozionante rappresenta la chiave per decriptare e vivere a pieno il viaggio di The Adam Project.