Una lettura critica della società contemporanea e del ruolo che ogni artista sia chiamato a svolgere all’interno di essa, attraverso la concretizzazione di opere che guardano all’antico, alla mitologia, all’epica, ad uno stile ispirato al neoclassicismo. Sembra quasi un ossimoro e invece è ciò che Ugo Riva, scultore bergamasco diventato ben presto un nome italiano conosciuto in tutto il mondo, si ripromette di fare con la sua arte. Come il suo pezzo più conosciuto, Anima Mundi, quell’angelo acefalo installato a Bergamo nel centralissimo largo Porta Nuova, e che restituisce il senso fragile e breve del destino umano, la spiritualità sperata dopo la fine, la caducità della materia terrena.
«Fare scultura è cosa complessa. La parola, aggiunta alla forma, aiuta a conoscerla meglio, per comprenderne il tutto», è il pensiero di Riva, che non delega a nessuno gli importanti passaggi della composizione delle sue creature e si occupa personalmente di ogni tappa del processo perché, per sua stessa ammissione, è uno che non si trincera dentro le torri d’avorio degli intellettuali ma preferisce “sporcarsi le mani”.
Dal bozzetto alle rifiniture, Riva affida ad altre professionalità solo il momento specifico della fusione. Tutto, anche le cere le patine portano la sua firma, affinché ogni opera risulti un assoluto pezzo unico.
La sue sculture non sono oggetti decorativi alle quali aggiungere un’etichetta, ma materia dialogante che assume una forma al termine di un percorso prima emotivo e poi strutturale. Non è un caso che tra i suoi “maestri putativi” Riva annoveri Michelangelo, e non quello della perfezione canonica del David o della Pietà Vaticana, ma quello della Pietà Rondanini e della lacerante empatia dell’incompiutezza.
Il dialogo tra i temi e le esigenze del presente con lo sguardo al passato è costante: Riva non è uno sculture che ha scelto di comporre le sue opere con sostanze sperimentali e innesti tecnologici. Conferisce significato allegorico al risultato dell’unione di materiali come il bronzo o la terracotta policroma, a dimostrazione che sono sempre l’esigenza artistica e l’interpretazione voluta dalla mano creatrice a scegliere il mezzo espressivo ideale per la contemporaneità, e non la necessità di rispondere ad una qualche “idea” astratta di cosa significhi essere artisti dell’oggi.
Riva non disdegna incursioni in altri stili e forme espressive, come il disegno: «La mia grande passione. Come affermava Pontormo: “La prima espressione dell’anima”. Dalle grotte di Altamira a Picasso nulla è più vero, forte e sincero di un semplice segno sul muro o un pezzo di carta». Tutto al servizio della sua indagine, quella da compiere nei misteri dell’animo umano e del senso della vita. Non è un caso che tra i soggetti preferiti di Riva ci siano, oltre alle creature angelich – corpi con le ali a simboleggiare il duplice legame tra la dimensione terrena e quella celeste – anche le donne, come massima espressione della natura in quanto portatrici della possibilità di donare la vita, di permettere al ciclo del mondo di completarsi, di compiere l’esistenza.
E ancora oggi, che le sue opere sono esposte nelle gallerie di tutto il mondo, Riva continua incessante la sua indagine, nel suo laboratorio-fonderia di Bergamo, lì dove tutto è iniziato e dove un giovane uomo decise, con coraggio, di abbandonare il “posto fisso” in banca per seguire la sua vera vocazione: quella di artista del suo presente, anno dopo anno.