Gli studi sulla psicanalisi hanno avuto un forte impatto e caratterizzazione della cultura moderna.
La rivisitazione delle relazioni, sondandone i risvolti sottesi da impulsi talvolta istintuali, altre volte elaborati per il tramite di filtri sovrastanti, ha fatto scoprire verità inaspettate.
Che le fiabe fossero una metafora con cui rappresentare la realtà e che dietro ai racconti a volte cruenti, si celasse il desiderio di preparare i bimbi ad affrontare il mondo fatto di bellezza e crudeltà.
Che le principesse fossero un auspicio di vita serena, ma che si dovessero guardare dai violenti come la Bestia, dai femminicidi di Barbablù, che talvolta gli aguzzini fossero i genitori stessi, attanaglaiti dalla fame e dagli stenti, come per il piccolo Hans e la sorellina Greta, che i pedofili, come gli orchi volessero inghiottirli, che i padri vedovi fossero incapaci di badare alla prole, come in tutte le storie di perfide matrigne (di cui solo l’appellativo incute ribrezzo) perché, nella realtà la fine degli orfani era segnata….beh, di tutte queste iconografie siamo, più o meno, tutti consapevoli.
Interessante la rilettura della fiaba in chiave della comprensione del linguaggio e delle sue parole chiave oggetto di studio di Lorenza Pescia, all’Institute for Advanced Study di Princeton, in USA. La studiosa ci fa scoprire che le fiabe tradizionali non erano rivolte alla generalità del popolo, bensì ad un target culturale più alto, per tipologia di parole ricorrenti, e con riferimento androcentrici più marcati ed una minore attenzione al mondo dell’infanzia.
Questa percezione, a dir il vero, credo sia maturata in noi tutte, ma vedere in chiaro, con tabelle statistiche alla mano, conferisce maggiore consapevolezza. L’incidenza e la frequenza di certi vocaboli, ruoli riproposti e quindi introiettati sin dall’infanzia, ci aiutano a capire dove si genera il pregiudizio. Pre-giudizio, tutto ciò che ci anima prima del raziocinio.
Al contempo, nel confronto con i tempi moderni e l’affermarsi di nuovi ruoli e competenze, anche le favole e i racconti per i piccoli si sono adeguati. Senza dover riscrivere le storie del passato, ma dandone una oggettiva spiegazione, anche nel riproporle, oggi è fiorita una narrazione per ragazze e ragazze con storie permeate del loro mondo, più vicine al loro vissuto, con ruoli principali non stereotipati e, soprattutto, concentrati su coetanei e con un linguaggio in uso, più comprensibile e meno aulico.
Come dice Pescia: “nel mondo delle fiabe si entra molto presto, spesso prima della scolarizzazione. Si ascoltano (e poi si leggono) storie che affascinano, fanno crescere, alimentano la fantasia, fanno sognare. A volte spaventano e fanno paura. Malgrado i molti cambiamenti sociali e tecnologici avvenuti negli ultimi decenni, le fiabe continuano ad accompagnare le bambine e i bambini per un pezzo della loro vita” ed aggiungerei, anche della vita di noi adulti.
“L’importanza delle fiabe è emersa dai tanti studi – dal punto di vista letterario, pedagogico, sociale, psicoanalitico, storico e culturale – ad esse dedicati. Le fiabe, però, sono anche uno strumento linguistico: insieme alle immagini di draghi, cavalieri, principi e principesse impariamo la lingua”. Necessario presidiare che tipologia di linguaggio che desideriamo consegnare alle future generazioni.