Le foreste amazzoniche in fiamme impongono un immediato quesito di diritto internazionale: quanto la sovranità di una nazione può ergersi a gestore di beni patrimonio dell’umanità? Questo vale per le risorse minerarie, quanto per i beni culturali. Il fatto di risiedere in un territorio, può permettere l’univocità ed esclusività di trattazione? E quanto gli interessi di poche multinazionali sta condizionando la nostra stessa sopravvivenza?
Di questi tempi, pare che il nostro Pianeta stia tristemente presentando il conto dello sfacelo che la razza umana ha perpetrato nel corso della sua evoluzione.
Dal momento in cui l’animale umano si è eretto a bipede, ha intrapreso una infaticabile lotta per asservire le leggi naturali al suo bisogno. Ma è in questi ultimi 150 anni che l’accelerazione allo sfruttamento ambientale bieco, egoistico e sistematico ha subito una profonda trasformazione come se la Natura fosse capace di rigenerarsi all’infinito, come se i suoi immensi tesori fossero inesauribili, come non ci fosse domani. Appunto.
Il progresso industriale ha permesso un miglioramento generale delle condizioni di vita di buona parte dell’umanità, ma ha alterato fortemente gli equilibri biologici. La produzione allargata di beni e servizi ha uniformato gusti e desideri, imponendo un consumo elevato di materie prime, producendo scorie il cui smaltimento fu ignorato, modificato piantagioni e calendari di colture con agricoltura ed allevamento intensivo, prediligendo le migliori rese, anche modificate geneticamente, annullando di fatto la biodiversità. L’industrializzazione selvaggia, senza norme e senza vincoli, ha provocato modifiche del territorio, sia nell’assetto paesaggistico che idrogeologico, inquinando falde e acque di passaggio fino al mare di prodotti chimici. La tecnologia e la ricerca di fonti energetiche sempre più efficienti verso l’accresciuto bisogno ha prediletto anche le centrali atomiche le cui scorie e eventuali falle generano danni per tempi infiniti. L’edilizia non solo di sopravvivenza, ma, spesso abusiva o mal progettata, ha deforestato, asfaltato, cementificato luoghi incantevoli, se non provocato catastrofi per la mancata osservanza dei criteri costruttivi.
L’intera nostra esistenza è un consumo infinito di risorse, cui spesso potremmo fare a meno o limitato o in modo alternativo. Il consumismo ha spinto l’occidente verso un’orgia di desideri insaziabili e di bisogni insoddisfatti, creando dipendenza verso beni spesso inutili e deperibili, la cui produzione arreca danni di cui il consumatore non è neppure consapevole. La sperequazione tra i due emisferi si allarga sempre più. L’occidente lotta contro l’obesità, risultato di uno stile di vita poco salutare, il resto del mondo non sopravvive alle carestie ed alla siccità. Meccanismi illogici dettano le leggi economiche.
I mercati occidentali assorbono la maggior parte della produzione industriale delocalizzata nei Paesi poveri. La tecnologia ha avvicinato il mondo: la rete di internet permette in tempo reale di vedere e commentare ciò che accade in ogni parte del globo. Ma la globalizzazione ha tenuto fuori i diritti. La produzione delocalizzata in Paesi ove la forza lavoro non ha retribuzione, non ha riconoscimento e tutela legale e sindacale, lucra il differenziale tra costo del bene e prezzo di vendita. Si alimenta così nuova schiavitù e, al tempo stesso, si distruggono competenze e abilità millenarie, sparisce l’artigianato e la qualità nei Paesi occidentali, aumenta la disoccupazione e il disagio. Dall’altra parte il tentativo di raggiungere condizioni minime di sopravvivenza, la fuga da guerre e dalla fame, alimenta flussi migratori in viaggi della disgrazia, pascendo le mafie e la tratta umana, provocando tensioni ai confini tra forze avverse di chi, sovranista, vuole conservare immotivati privilegi e folle di disperati, che non si possono ignorare. Una tensione sociale che si traduce in rigurgiti di razzismo e violenza in una interminabile guerra tra poveri.
Scioglimento dei ghiacciai, repentini cambi climatici, desertificazione e inondazioni, terremoti, tszunami e uragani, cataclismi eccezionali sempre più ordinari cui ONU e OCDE non riescono ad opporre seri e inderogabili programmi di stabilizzazione e contenimento, invitando gli Stati membri
ad attuare non solo politiche ambientalistiche, ma a prepararsi ad affrontare gli effetti del riscaldamento globale, considerato ormai inevitabile.
È vero che fenomeni di risveglio di coscienze sopite si sta manifestando soprattutto tra i giovani, delusi dall’impegno politico di partito e trovando nell’ecologia un valido e tangibile ideale da difendere.
Ecco, ancora una volta ideali generali contro interessi particolari, particolarissimi.
La manipolazione delle coscienze agisce tramite la diffusione o omissione di informazioni. Chissà quanta parte della gente è cosciente della criminale indifferenza delle multinazionali nei confronti delle modifiche climatiche cui stiamo assistendo e che soprattutto nei paesi più deboli provocano danni e vittime ingenti, assumendo connotazioni di catastrofi sociali? Quanti sanno della banca mondiale dei semi che sta di fatto impedendo la sopravvivenza della biodiversità, coltivando e omologando, ovunque, piante modificate geneticamente i cui effetti ancora sono da scoprire e che sono allo studio se relazionabili col picco delle malattie metaboliche e immunitarie? Come spiegare che l’allevamento intensivo, motivato dall’esigenza di fornire proteine nobili ad una popolazione mondiale in continuo aumento, oltre ad essere eticamente deprecabile, ha raddoppiato le malattie coronariche, allergiche, sensibilizzando i consumatori ai farmaci usati per non far infettare gli animali chiusi in spazi invivibili, ha provocato alterazioni metaboliche per l’assimilazione degli ormoni foraggiati per la crescita immediata delle bestie da macello, nonché provocato inquinamento delle falde acquifere per i liquami prodotti, e allargamento del buco dell’ozono per la produzione concentrata di gas di digestione? Chi ha piena contezza che anche soluzioni all’apparenza miracolose, come le energie alternative, sono al momento illusorie, spesso avversate, e che l’esigenza di rilocalizzare e demondializzare le attività agro-economiche sta diventando un’urgenza ecologica improrogabile? È davvero un bolero infinito. Colpevolmente indifferenti a ogni preoccupazione per il pianeta, le oligarchie al potere sono asservite a un ordine mondiale più che mai fondato sul saccheggio delle ricchezze naturali e umane e sulla conquista dell’energia attraverso le armi, mentre i ripetuti allarmi degli ecologisti continuano a restare inascoltati, anzi, derisi.
Il momento per fermarsi è adesso.