Per un pugno di centimetri

STOCK/STACK/STOCK/STACK/STOCK… Assisto a una partita di tennis in tv e mi colpiscono i rumori secchi, simili a schiocchi di frusta, accompagnati ritmicamente da lascivi gemiti che arrivano poi al trionfante e orgasmico grido di liberazione finale del vincitore del punto. La strategia di gioco ricorda solo lontanamente quella del tennis della mia adolescenza, in cui ci si limitava al principio che la pallina, colpita dalla racchetta di uno dei contendenti, debba superare la rete e ricadere entro i limiti del campo avversario: il punto veniva assegnato a chi, per ultimo, rimandava la gialla sfera nell’altrui spazio.

Oggigiorno prevale la violenza, le racchette non sono più ceselli di artisti che ricamano traiettorie beffarde strappando lunghi “ooooh” di stupore tra il pubblico, ma clave di preistorica memoria che solo casualmente prevedono al loro interno corde di nylon. Così come in certi dibattiti televisivi sembra prevalere il rozzo politico che sovrasta la voce del concorrente con la sua, allo stesso modo nel campo da tennis sembra vincere chi ottiene la maggiore velocità della pallina, inchiodando l’avversario verso il fondo e costringendolo al movimento frenetico simile a quello del tergicristallo dell’automobile. Il gioco “a rete” è finito perché non c’è il tempo materiale per accorciare le distanze e conquistare una posizione che consenta di effettuare colpi “al volo. Il romanticismo che legava lo spettatore alle gesta dei campioni, impregnati di una classe superiore che li rendeva simpatici anche quando erano scorbutici, ha ceduto il posto alla meraviglia per la constatazione della velocità della pallina, certificata da uno schermo posto a bordo campo: 200 km/h per un proiettile giallo che qualunque persona sensata provvederebbe a schivare, anziché ribattere con la stessa se non maggiore intensità… Ma i campioni oggi non sono più tennisti di quanto siano atleti, hanno fisici curati dettagliatamente per ottenere masse muscolari importanti e strumenti di gioco che assicurano massima precisione alla massima potenza. Inoltre si è notevolmente alzata l’altezza media e la rete divisoria non è più quell’ostacolo insormontabile da superare: le nuove generazioni utilizzano gli 1,07 mt come misura ideale per poggiare la scarpa da allacciare, dalle nuove generazioni, mentre “ai miei tempi” era un ottimo ostacolo visivo per il gioco del “nascondino”… E non si vedono più rotonde pancette che, se ridimensionavano idealmente il campione, contribuivano però a renderlo umano e, quindi, più “raggiungibile” da noi tifosi emuli. Potevi pensare che almeno la domenica mangiasse le tagliatelle, che ogni tanto si concedesse una pennichella oziosa e che d’estate bevesse qualche birretta fuori ordinanza…

Il tennis è ritenuto “nobile” perché non solo regolato da consuetudini non scritte che impongono sportività anche quando tra i concorrenti non corra simpatia ma pure perché, a differenza di altri sport più popolari, non è previsto il contatto fisico tra i due avversari armati. Un ipotetico duello del tipo “mors tua, vita mea”, in cui il vincitore gode del piacere virtuale della sopraffazione dell’avversario ma al quale, alla fine della disputa, rende l’onore della racchetta con una stretta di mano che sancisce la fine delle ostilità. Se questi nobili principi venivano inosservati, i contendenti subivano, con modi eleganti, la plateale disapprovazione del pubblico. Persino l’abbigliamento indossato in campo rifletteva questo onorevole spirito, lasciando al bianco la prevalenza cromatica e la simbologia della purezza sportiva.

Valori persi, tradizioni smarrite, educazioni superate: prevale in primis la commercializzazione dell’evento, con la tendenza dell’organizzazione a spremere soldi da ogni singolo aspetto, compreso il parcheggio esterno per le automobili. Per non parlare, poi, dei cori da curva, dell’abbigliamento arlecchinesco dei tennisti in campo, dei marchi che fuoriescono da ogni poro epidermico, delle inserzioni pubblicitarie televisive che riducono la visibilità dell’evento, dei biglietti per assistere dal vivo a costi sempre più elevati, delle telecronache che strizzano l’occhio ai tempi tecnici dei grossi network e, soprattutto, delle palline supersoniche che non si vedono più se non nei replay, al punto tale da non giustificare la diretta tv se non in virtù dell’immaginazione del telespettatore da stimolare…

Che fare? Recuperare una certa poesia retrò dello sport o cavalcare l’onda del progresso che promuove valori sicuramente più attuali ma altrettanto sicuramente meno umani?

Non dispongo di ricette certe per mediare valori sociali che potrebbero essere anche superati ma, nel dubbio, ritengo che l’invito a leggere, soprattutto per i più giovani, possa costituire un valido motivo per acquisire una cultura anche del passato e porre le basi per migliorarsi e migliorarci. Per quanto riguarda più propriamente l’aspetto tecnico dello sport, penso che per ridare importanza alle più affascinanti strategie di gioco, che non siano quelle legate esclusivamente alla velocità, basterebbe sollevare di 20 centimetri l’altezza della rete. 20 centimetri, guarda il caso, l’altezza media di un buon libro…

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