Ripensando alle crude immagini televisive del rovinoso crollo del Viadotto Polcevera di Genova (14 agosto 2018), opera dell’ingegnere Riccardo Morandi (1902-1989), durante una passeggiata domenicale sul Lungotevere nel quartiere Flaminio di Roma mi capitò di fare una riflessione riguardo alla bontà dei materiali usati nel tempo dall’uomo per la realizzazione dei manufatti della quale bellezza godiamo ancora tutt’oggi. E così, col millenario Ponte Milvio da un lato e Ponte Risorgimento poco più a sud, con la sua meravigliosa, innovativa campata unica (fu il primo ponte di Roma in calcestruzzo armato), la domanda che mi posi fu come fosse possibile che un’opera così antica, realizzata in mattoni e malta romana, avesse resistito così solidamente alle sollecitazioni del tempo mentre un manufatto molto più recente in calcestruzzo armato avesse bisogno costante di dispendiose cure e attenzioni. Quesito, peraltro, applicabile ad un numero impressionante di strutture del ventesimo secolo.
In effetti, avvicinandomi al ponte inaugurato nel 1911, opera dell’ing. Giovanni Antonio Porcheddu (1869-1937) sotto la supervisione del celeberrimo Francois Hennebique (1842-1921) titolare del brevetto del calcestruzzo che registrò nel 1892, era chiaro come i segni del tempo avessero minato l’integrità della struttura, depotenziandone anche l’aspetto puramente estetico, comunque evidente e sottolineato da uno splendido sole di fine estate. Le polemiche sul crollo di Genova che tante vittime innocenti procurò, imperversavano nei telegiornali e sulla carta stampata alla ricerca di una possibile causa del disastro. Il nome di Riccardo Morandi, insieme a più o meno velate accuse di imperizia riguardo il suo operato, appariva tra le ricerche più frequenti digitate nei portali web. Polemiche feroci e scarichi di responsabilità parevano non dare il giusto rispetto alle vittime ma un dato finalmente emerse con forza, dissipando i dubbi: l’incuria che genera degrado. Peraltro, in un ambiente decisamente aggressivo perché posto nelle immediate vicinanze del mare e di un imponente centro industriale; aspetti oggettivi che accostati alla mancanza di adeguata manutenzione causarono il collasso strutturale. Assolvendo definitivamente, nei fatti, l’ingegner Morandi da accuse di imprecisioni o leggerezze costruttive. Il momento, così triste, fu in effetti un modo molto diretto di mettere in condizione il Paese di prendere atto dello stato dell’arte dei manufatti in calcestruzzo armato. Palazzi, piloni autostradali, viadotti, infrastrutture di vario genere e tutto quello realizzato da diversi decenni a questa parte in cemento armato, sembravano non essere più in salute. Necessario, quindi, prenderne atto. Ma, principalmente, comprendere che il calcestruzzo non dura in eterno come invece sembrava fino a un paio di decenni or sono. La fragilità del nostro territorio, insieme alle cattive condizioni del patrimonio edilizio esistente, pongono necessariamente la questione della sostenibilità della riqualificazione urbana al centro del dibattito sotto ogni punto di vista.
Diventa così fondamentale mettere a fuoco l’importanza di un corretto intervento di manutenzione e di restauro, individuando le diverse forme di alterazione e degrado delle strutture in calcestruzzo armato, insieme ad una importante riflessione su quello che sarà l’approccio futuro, principalmente in termini di ecosostenibilità.