La polemica continua. Il web come una grande arena: voci concitate prendono posizione, soddisfacendo un bisogno impellente forcaiolo. Oramai il focus della discussione si è spostato dal fatto criminoso da cui origina, alla ricerca affannosa di tutto il torbido per affondare le radici del dileggio, per rafforzare il pregiudizio nel giudizio.
Questa storia porterà alla divisione delle donne soppesandone la morale tra chi si e chi no, chi prima si e dopo no, chi io mai, e il peso di sostenere l’evoluzione nelle relazioni tra i generi sarà addossato su coloro le quali nella quotidianità vivono al bivio, in una società che sdogana comportamenti sempre più audaci, ma che, al momento giusto, è strettamente ancorata ad archetipi culturali sessuati androreferenziali.
Il femminismo, parola aborrita dalle nuove generazioni come un oggetto fuorimoda, stantio, da riporre in soffitta con zoccoli e gonne a fiori, è quanto mai necessario per rendere manifeste le sperequazioni tra generi, per affermare le pari opportunità che passano necessariamente per la pari dignità. Il femminismo serve a sottrarsi al gioco di sottomissione al potere, quando il potere si serve di sordidi mezzi per sedurre e schiavizzare altri esseri umani, come vittime o come complici, entrambi nella medesima spirale. Il femminismo è necessario finché ogni singola persona non avrà autodeterminazione del proprio corpo e delle proprie scelte, senza dover subire giudizi morali. Il femminismo amplifica la consapevolezza del proprio discernimento, che spezza la catena della mercificazione del corpo e la reificazione in modelli maschili consunti ed avvilenti cui le altre restano imbrigliate: vittime o figlie del maschilismo? In questo Paese, affetto da machismo e troismo, che mai si interroga, è molto facile puntare il dito inquisitore, con acredine, anche e, purtroppo, da parte di altre donne. Nella disputa che ne consegue è proprio l’essenza dell’etica maschilista che si rafforza e ne esce vincitrice. Quindi, sorelle, riflettiamoci.
Il tratto comune della molestia è la fragilità di chi si sente sola, umiliata, debole e perdente di fronte a un contesto sociale e culturale che permette molestie sessuali quotidiane, perpetrate negli ambiti più disparati. Non solo nel bagliore dell’avanspettacolo, ma anche negli anfratti polverosi di umidi sottoscala o in grattacieli sfavillanti in cui la scarsa consapevolezza delle donne sdogana approcci, considerazioni, ammiccamenti, talvolta sotto forma di scherzi, lazzi e battute. Una interazione sociale consolidata cui è difficile sottrarsi.
Il sexual harassment si insinua in modo subdolo, raramente esplicitamente dichiarato (anche le prestazioni sessuali della nota vicenda venivano rappresentate come richiesta di “massaggi”), ancor più grave se esercitato da un superiore verso un subordinato.
Le nazioni unite definiscono tali comportamenti indebite richieste di favori sessuali palesi o sottese, esercitate per mezzo di apprezzamenti, verbali o fisici, che condizionano l’accesso ad un incarico di lavoro, ad una progressione di carriera, ad un impiego. Un insano sistema che inquina il clima aziendale, rende ostile e deprimente chi lo subisce, veicola errati valori di riferimento nei testimoni, ma, soprattutto, tollera una divergenza relazionale e funzionale malata e ingiustificata.
E dove le relazioni sociali mutano con maggiore rapidità e si registra un cospicuo afflusso di donne ai vertici aziendali, inizia a manifestarsi la molestia speculare sull’altro sesso. Percentuali di donne che hanno mal introiettato la lezione sulla crescita professionale, assimilando quanto di erroneo vi sia nella gestione malata del potere.
La cultura e il presidio sociale in ottica di genere è quanto mai necessario per sanare le vergogne e evitare tali possibilità. Il cambiamento è possibile!