Odysseus Redux è il titolo di una poesia scritta da Ocean Vuong e pubblicata nella raccolta Night Sky with Exit Wounds (2016) tradotta in italiano nel 2019 da Damiano Abeni e Moira Egan per La nave di Teseo (Cielo notturno con fori d’uscita) e vincitrice, nel 2017, del premio T.S. Eliot, uno dei massimi riconoscimenti per la poesia in lingua inglese. Ocean Vuong, giovanissima promessa letteraria statunitense, nasce a Ho Chi Minh (Vietnam) nel 1988 e a soli due anni si trasferisce con la sua famiglia negli Stati Uniti. Giovanissimo non solo per l’età anagrafica ma anche e soprattutto per la lingua, se consideriamo che ha cominciato a leggere a undici anni. Michael Cunningham ci ricorda come l’inglese non fosse la lingua madre né di Conrad, né di Nabokov né di Brodskij, eppure «se la sono cavata tutti piuttosto bene», anche Ocean, che la utilizza in un modo del tutto innovativo, interiore ed emotivo, lirico, erotico, mitologico e colloquiale, attraverso la perfetta collisione di tutti questi linguaggi. All’interno della raccolta è incastonato un piccolo ciclo omerico (Telemachus – Trojan – Odysseus Redux) in cui, servendosi del mito, Ocean riscrive la sua storia personale e, nello specifico, il tormentato rapporto con il padre, costruito e decostruito sulla base di una lontananza fisica ed emotiva. Attraverso una lingua rinnovata, dunque, anche un rinnovato codice di interpretazione del mito in versi. E non è cosa da poco che un giovane poeta vietnamita, naturalizzato americano, scriva di Odisseo, di Telemaco e della guerra di Troia, rifunzionalizzando il mito, rendendolo accessibile a tutti, abbattendo le imponenti torri d’avorio in cui spesso si nasconde questo sapere. Ocean Vuong è letto dalle nuove generazioni, è citato nell’ultimo capolavoro di Luca Guadagnino (We Are Who We Are) rivolto alle problematiche dei giovanissimi (e non solo), ma soprattutto Ocean Vuong nel 2020 utilizza i miti greci per raccontare sé stesso.