Vico Magistretti: il “Grande Semplice”.

  • Vico Magistretti: il “Grande Semplice”.

Esistono personaggi, in ogni contesto, che riescono nel corso della loro vita a scrivere la storia e a lasciare tracce memorabili grazie alla forza delle proprie idee.

Personalità geniali di uomini coraggiosi e determinati, talvolta capricciosi, capaci di sollevare polemiche infinite ma indubbiamente originali.

Uomini dalla grande personalità, eccezionali visionari ma non sempre impeccabili dal punto di vista etico.

Molti dei grandi architetti del passato, ad esempio, come noto non emersero per qualità morali: Le Corbusier fu accusato di avere simpatie nazionalsocialiste, lo stesso valga per Philip Johnson e Frank Lloyd Wright piantò in asso la propria famiglia per scappare in Europa con la moglie di un cliente dello studio in cui lavorava.

Esistono personaggi, poi, che alla geniale visione del mondo, necessaria in un ambito creativo, associano le caratteristiche di una personalità più elegantemente composta.

E’ il caso, questo, di Ludovico Magistretti, detto Vico (1920-2006).

Architetto e designer milanese laureato al prestigioso Politecnico di Milano, poliedrico, raffinato (ma non snob), vero gentleman, amante del “way of life” inglese, del golf e del loden, da lui indossato con fierezza meneghina.

Prolifico progettista di edifici e soprattutto autore di un design ancora molto apprezzato con produzioni che arredano i salotti delle più belle abitazioni del pianeta.

Portavoce di una idea di semplicità, di design democratico, diede vita ad una produzione che in maniera piuttosto evidente rappresenta una sorta di trasposizione dell’indole dell’uomo sul prodotto finale.

Vico sostenne l’idea della leggerezza del design industriale; memorabile quando affermò che “il design migliore è quello che puoi spiegare al telefono”, eroico quando disegnò sul biglietto della metropolitana lo schizzo di una lampada che vinse nel 1967 il prestigioso Compasso d’Oro e che oggi troviamo esposta al Moma di New York (”Eclisse”, 1965, Artemide).

Testimone di un’Italia in pieno progresso industriale, un’Italia che aveva il coraggio di sperimentare, un’Italia finalmente fiera che attraverso la voglia di cambiamento si adoperava gettando le basi per diventare eccellenza riconosciuta.

Un’Italia ironica.

Un’Italia che non conosciamo più.

 

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