«I was born to start a revolution / It would be my contribution / To a worldwide resurrection». Questo potrebbe essere un buon incipit per It takes a fool to remain sane. A rockshow extravaganza featuring the songs of The Ark, inedita rock opera ideata e composta da Ola Salo, ex frontman della band svedese The Ark, e sceneggiata da Henrik Schyffert.
Rolf Ola Anders Svensson, in arte Ola Salo, è nato ad Avesta, nella contea di Dalarna, in Svezia, nel 1977. Trasferitosi assieme alla numerosa famiglia (è il quinto di cinque fratelli) a Rottne (Småland), ha frequentato il Liceo classico a indirizzo musicale, presso la Katedralskolan di Växjö. Proprio qui, nel 1991, ha incominciato a costruire la sua “Arca”. Figlio del pastore della chiesa di Söraby e di un’infermiera, entrambi musicisti, Ola ha fin dal principio concepito e perseguito l’idea di un’arte intesa come missione terapeutica, da compiere in gruppo – un gruppo per il quale ha scelto il simbolico nome The Ark. Suo intento era, infatti, quello di restituire all’umanità le proprie radici, consumate, quando non del tutto isterilite, dall’onnipotente vitello d’oro della “facciata”. Tale processo di palingenesi si sarebbe fondato sull’affermazione libera, fiera e immediata del proprio “esserci”, contrapposta al piatto e coatto conformismo sociale, sul ricongiungimento della psiche col corpo e sull’accettazione e valorizzazione delle differenze. All’imminente “fine del mondo” – calzante metafora del vuoto generato dall’incapacità comunicativa dell’uomo moderno, troppo occupato e preoccupato dal “fare” per poter naturalmente “essere” – sarebbe sopravvissuto soltanto chi avesse osato intraprendere una folle e dolorosa corsa controcorrente. Raggiunta, alla fine degli anni ’90, la sua formazione definitiva – Ola Salo (leader, voce, testi e musiche), Mikael Jepson (chitarra), Lars Ljungberg (basso), Martin Axén (seconda chitarra), Sylvester Schlegel (batteria) – L’Arca, finalmente pronta a salpare, ha pubblicato il primo album, We are The Ark (2000), una già completa e consapevole introduzione dei motivi e degli intenti fondamentali del gruppo, accolta con successo, in Scandinavia e nel resto d’Europa (si ricordi che It takes a fool to remain sane, il brano che presta il titolo al nuovo spettacolo, è rimasto in cima alle classifiche italiane per ben quattro mesi). La missione salvifica è, poi, proseguita con In Lust we trust (2002), sorta di manifesto che rimarca lo stretto rapporto fra materia e spirito (per “lust” si intende qui “piacere, gioia di vivere” e non “lussuria”!), e rinnovata con State of The Ark (2004), una sintesi dei risultati ottenuti che include una profonda riflessione sui diversi modi di vivere le relazioni con se stessi e con gli altri, ma anche con l’espressione artistica, quale impegnativo ma infallibile strumento di conoscenza e di autentica comunicazione. L’arte alleggerisce e riscatta, imita e contraddice, completa e, talvolta, sostituisce la vita, rendendone manifesti dubbi, conflitti e ambiguità, soprattutto nel quarto lavoro, Prayer for the weekend (2007), che ha sancito l’ufficiale entrata nel gruppo di Jens Andersson (tastiera). Qui, siamo tutti invitati a “raccogliere i fiori del male e a intrecciarvi una corona”, ad armarci, cioè, delle nostre debolezze ed ad esplorare il sottile interstizio fra dolore e piacere, che è la dimensione propria dell’arte. Il fine di insegnare ad adornare le cicatrici, come supremo atto di coraggio
e di onestà, giustifica, così, i mezzi stilistici adottati, ispirati al pomposo ed esuberante glam rock anni ’70 (senza esclusione di paillettes, lustrini, catsuits, boah di piume e accessori da loro stessi disegnati), per veicolare testi dai contenuti seri e intimi. L’incontro-scontro fra gli opposti culmina nel brano, primo classificato al “Melodifestivalen” (2007) e presentato successivamente all’“Eurovision Song Contest”, The worrying kind, delirio tragicomico di un alienato perseguitato dalle bizzarre immagini del mondo interiore in cui si è barricato. Per prevenire il rischio che la vita, una volta divenuta un grande spettacolo, si limiti al mero esercizio di un ruolo, quello della Superstar, tanto accecata dalle luci della metropoli da non prestare orecchio al familiare richiamo della campagna, è stato lanciato, infine, In full regalia (2010), un vigoroso monito a non perdere di vista l’essenziale, che è natura molto prima e assai più che artificio.
La “Rivelazione” (o “Apocalisse”), a questo punto, poteva dirsi compiuta. All’inizio del 2011, anno del suo XX anniversario, la band ha annunciato la fine del viaggio, celebrata con l’uscita di una raccolta di Greatest Hits, chiamata Arkeology, e un ultimo tour europeo di congedo, che si è concluso, presso il Grona Lund di Stoccolma, il 16 settembre 2011. Dopo la Rottura con Dio, Ola Salo ha intrapreso una nuova fase della sua vita, mettendo al primo posto la famiglia, senza però abbandonare la carriera. Ha continuato, infatti, a collaborare con diversi artisti svedesi, ha partecipato a programmi televisivi, fra cui, in veste di coach, il talent “The Voice Svezia” (2012) e, come concorrente, le competizioni fra cantanti professionisti “Så mycket bättre” (2014) e “Stjärnornas stjärna” (2018), ha pubblicato il primo album solista, Wilderness (2015), e, soprattutto, si è molto dedicato al teatro. Già fra il 2008 e il 2009, per il Malmö Opera, aveva tradotto, arrangiato e interpretato, nei panni di Cristo, una moderna versione svedese del celeberrimo musical Jesus Christ Superstar, rivista e riscritta, in chiave contemporanea, appena due anni più tardi, per il Göta Lejon di Stoccolma. Nel 2013, ha composto Kult, la sua prima rock opera, trasmessa il 2 novembre dello stesso anno alla radio svedese, che ne era il committente. Infine, nel 2016, ancora una volta per il Göta Lejon, ha vestito i panni della diva transessuale Hedwig in Hedwig and the Angry Inch di John Cameron Mitchell e Stephen Trask. Non sorprende, dunque, il fatto che abbia maturato l’idea di fare qualcosa di simile con le canzoni scritte quando era Capitano de L’Arca. «Sono molto importanti per me – dichiara – Ci sono molte storie intorno a ciascuna di quelle canzoni. Riguardano la mia vita e i miei pensieri».
Diretto da Edward av Sillén, prodotto da 2Entertain e Live Nation, It takes a fool to remain sane andrà in scena dal 24 gennaio al 27 aprile 2019, a Göteborg, press0 il Rondo, teatro situato all’interno del parco divertimenti Liseberg. Della trama e della scelta dei brani, per ora, nulla si sa. Possiamo, dunque, soltanto immaginare e ipotizzare un protagonista sovversivo, forse un artista (se non lo stesso Ola Salo), sempre pronto a fare Rumore per il fascino di mostrarsi così com’è, Assolutamente senza decoro, fragile, ma determinato ad «abbattere i muri dell’atteggiamento» appropriato. Ci sarà, presumibilmente, una storia d’amore, mai iniziata e mai finita, sospesa nell’irrazionale eterno ritorno di un “tu” che chiama ed un “io” che arriva; o meno idillica e più viscerale, fondata sulla fiducia reciproca e sulla condivisione della buona e della cattiva sorte, che affronta la malattia, ma supera la morte. Come in una sensualissima danza della vita, il caos oscuro dei pensieri e delle
emozioni troverà il suo ordine ed equilibrio vibrando sulla superficie luminosa del corpo, prima e più attendibile fonte di saggezza, terra di mezzo contesa da forze opposte che s’attraggono e si respingono, confliggono per fondersi in una incontestabile sintesi: «seems like a joy surrender, love» (o, forse, avrebbe voluto dire “life”?).