“Durante l’Olocausto, da un capo all’altro dell’Europa, da prima dello scoppio della guerra e fino alla liberazione, ragazzi e ragazze tennero diari e memoriali. Scrivevano su agende rilegate in cuoio o tessuto, o su album goffrati in oro, ricevuti come regalo in occasione di compleanni e festività; portavano con sé i loro diari dalle loro case ai nascondigli, dai campi profughi ai ghetti. Quando i tempi si fecero difficili, contrabbandarono e rubarono ritagli di carta, trovavano monconi di matita e penne a inchiostro ormai consumate; scribacchiavano alla luce di una lampada a carburo o di una candela su quaderni di scuola, su rubriche per gli indirizzi, agende e libri mastri, sul retro di sottili sacchetti di carta, e ai margini di opere di altri autori. Nonostante la paura e la repressione, nonostante la fame, il freddo, lo sfinimento, la disperazione, nonostante lo spazio vitale limitato e la mancanza di privacy, e nonostante la lontananza da casa e dai propri cari, questi giovani documentarono le loro esperienze e le impressioni sulla loro vita, e così facendo si ritagliarono il loro posto nel mondo”.
Recuperare questi frammenti di storia, farli emergere dall’oblio del tempo, ripulirli da ogni percezione, supposizione, impressione stereotipata, appicicatagli addosso a posteriori, è stato il compito difficile, di Alexandra Zapruder.
Questi diari, intimi e quotidiani, di ragazzi smarriti nella tragedia della follia ideologica, mentre vivevano la loro gioventù, e disegnavano il loro presente, sognando il loro futuro, non potranno mai, infatti, risarcire né chi, tra loro, fu martire dell’orrore nazista, né chi, invece, riuscì a sopravvivere ad esso, ma ci restituisce, in modo vivo, uno spaccato di vita quotidiana, fatta di sofferenze, di dolori, di privazioni vissute, e ci aiutano meglio a capire e a comprendere realmente ciò che accadde in quegli anni così tragici.
“Dalla scoperta del Diario di Anna Frank, più di cinquantacinque diari di giovani scrittori sono emersi da ogni angolo d’Europa, scritti in diverse lingue, a rispecchiare un’ampia serie di esperienze vissute in tempi di guerra”.
Ecco, questi diari, così personali nei contenuti, privati nell’intento, e spontanei nella forma, non sono però un riflesso della personalità del loro giovane aurore; ed è stato, forse, questo, l’errore più grande fatto con la pubblicazione del Diario di Anna Frank, prima, e poi con tutti gli altri: inserirli all’interno di una cornice artefatta, posticcia, stereotipata, credendo così, di far vivere in eterno, in modo fisso ed immobile, l’autore stesso, rendendolo immortale; e, peggio ancora, attraverso quelle loro innocenti parole scritte, ricercare risposte speranzose e incoraggianti, sulla “fiducia nella bontà dell’umanità”, nonostante tutti gli orrori vissuti, proprio perché scritti da un ragazzo, vittima innocente e sacrificale dell’ideologia nazista, oscurando “inevitabilmente l’atrocità del genocidio rivestendolo di una patina ottimistica”.
Per Zapruder, invece, un diario, “che sia personale o meno, privato o pubblico, spontaneo o costruito”, non ci permette di “arrivare a conoscere l’autore, la sua sopravvivenza non
permette a un diarista deceduto di «continuare a vivere», né la sua esistenza conferisce l’immortalità letteraria alla persona che l’ha scritto”.
Esso può “solo essere un lavoro frammentario della mano dello scrittore. E una raccolta di pagine scritte nell’arco di pochi mesi o anni – a prescindere da quanto siano intensamente personali, confidenziali, o immediate – può essere poco più di una pallida ombra, un frammento da cui provare a catturare l’incommensurabile complessità, gli aspetti positivi e quelle negativi, i sogni, le speranze, i desideri, le contraddizioni, e le storie che compongono una persona nella sua complessità”.
E da questa convinzione nasce tutto il suo articolato lavoro di ricerca, affinché testimonianze e frammenti di vita vissuta non vengano smarriti, aiutino a tenere viva la fiammella della memoria, e consentano a tutti noi, di comprendere in parte, la tragicità della Shoah.
Un articolato e difficile lavoro di ricerca, il suo, che si traduce, poi, nel testo “I diari dell’Olocausto. I racconti e le memorie inedite delle giovani vittime delle persecuzioni naziste”, uscito in prima edizione, nel 2002, e nella sua versione più arricchita, nel 2018, edito da Newton Compton.
“L’essenza del confronto fra i diari di questo libro, dunque, è proprio quella di non confondere la lettura con la salvezza di vite individuali, anche simbolicamente, ma permettere loro di essere concepiti come le testimonianze parziali che sono; e riflettere al tempo stesso su ciò che abbiamo di fronte e ciò che è perduto e irreversibile”.
L’intento dell’autrice è stato quello di liberarli, finalmente, da quell’abitudine “che ci porta a interpretare i diari di giovani scrittori come simboli di vite perdute anziché contributi complessi e legittimi alle testimonianze storiche e letterarie dell’Olocausto”.
“Non miravo solo alla divulgazione pubblica degli altri diari dell’Olocausto scritti da giovani autori, ma anche a presentare il tutto – incluse le parole potenti e infinitamente interessanti di Anna Frank – in una chiave che riflettesse il valore intrinseco dei diari, anziché il desiderio del lettore di un finale rassicurante”.
Così, “I diari dell’Olocausto” è una struggente e commovente raccolta di alcune incredibili, tragiche storie umane, scritte durante l’Olocausto, da ragazzi tra i dodici ed i ventidue anni, che furono rifugiati, o chiusi nei ghetti, o costretti a fuggire via per scampare alla violenza delle leggi razziali.
Il saggio scritto da Alexandra Zapruder riporta così, testimonianze vive della sofferenza e dello smarrimento di chi visse sulla propria pelle la follia ideologica nazista; racconti quotidiani di giovani alle prese con le difficoltà giornaliere dettate dall’orrore delle persecuzioni.
Qui ritroviamo i pensieri, le idee, le paure, i sogni, i sentimenti, le esperienze toccanti del giovane Klaus Langer, che visse ad Essen per emigrare, tra mille peripezie in Palestina, di Elisabeth Kaufmann, austriaca fuggita a Parigi, e poi in America, del belga Moshe Flinker, dell’esperienza di Petr Ginz ed Eva Ginzová nel ghetto di Terezín, o di Yitskhok Rudashevski, nel ghetto di Vilna, che ci aiutano a comprendere in modo più vivo e veritiero ciò che furono quegli anni di follia umana, e ad avvicinarci a un livello più profondo di comprensione degli orrori dell’Olocausto.
Sono testimonianze storiche e letterarie autentiche sulla Shoah, e la nuova edizione, nelle sue molteplici forme, cartacea, aggiornata, e-book, e un sito educativo per gli insegnanti, può così, “continuare a coinvolgere e ispirare nuove generazioni di lettori”, con la speranza “che le parole partorite con tanta fatica da questi scrittori come rifugiati, latitanti, nei ghetti dell’Europa nazista, continuino a riecheggiare tra insegnanti e studenti, alimentando nuove domande, stimolando ipotesi, e infiammando il dialogo sull’Olocausto e su cosa significhi essere umani