From Hell. Così parlò Dante ad altri Pellegrini della Selva Oscura

Dal 28 febbraio al 28 giugno 2020, il Palazzo Roncale di Rovigo ospita la mostra Visioni dell’Inferno, a cura di Alessia Vedova, Mauro Carrera, Barbara Codogno, Virginia Baradel. La rassegna celebra, in occasione del prossimo VII centenario della morte del Sommo Poeta (2021), la prima Cantica dantesca, attraverso le suggestive opere, ad essa dedicate, di tre artisti internazionali, uno per ciascuno degli ultimi tre secoli: il francese Gustave Doré (Strasburgo, 1832 – Parigi, 1883), lo statunitense Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008) e la tedesca Brigitte Brand (Rastalt, 1955). Dalla Selva Oscura alle fauci di Lucifero, il visitatore è accompagnato e guidato dalle terzine più significative e da una breve sintesi di ogni canto. Il moderno viaggio nell’oltretomba si apre con le illustrazioni della Divina Commedia, realizzate da Gustave Doré nel 1861.

Gustave Doré nacque a Strasburgo nel 1832. Autodidatta colto e appassionato, a soli quindici anni incominciò a pubblicare le sue prime prove per il giornale “La caricature”. Formatosi al Louvre, tra il 1847 e il 1854, eseguì un gran numero di caricature e litografie, che gli permisero di farsi conoscere. Il vero e proprio, meritato, successo giunse, di lì a poco, con le illustrazioni della Storia pittoresca, drammatica e umoristica della Santa Russia (1854), un’opera dedicata alla guerra di Crimea, cui fecero seguito moltissime altre commissioni. Fra le più celebri, ricordiamo: il Gargantua e Pantagruel di François Rabelais (1854); la Divina Commedia di Dante Alighieri (1861); le Fiabe di Charles Perrault (1862) e di Jean de la Fontaine (1866); il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes (1863); il Paradiso perduto di John Milton (1866); La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge (1866); la Bibbia (1866); l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1879); Il Corvo e altre poesie di Edgar Allan Poe (1884). La sua opera grafica ha esercitato una notevole influenza sulla genesi del fumetto e del cinema sin dalle sue origini, costituendo un punto di riferimento iconografico soprattutto per quei grandi registi, che si siano misurati con le trasposizioni su pellicola dei classici precedentemente illustrati dall’artista francese. Si pensi, ad esempio, al Viaggio nella Luna di Georges Méliès; al personaggio di Chewbecca di Star wars; agli scenari che fanno da sfondo alle molte versioni di King Kong, alla saga de Il Signore degli Anelli, a La bella e la bestia di Jean Cocteau e ai lungometraggi animati di Walt Disney e di Tim Burton; e, naturalmente, ai numerosi adattamenti cinematografici dell’Inferno dantesco.

Doré fu, inoltre, un apprezzatissimo artista sacro (gli fu attribuito l’appellativo di «pittore predicatore»), fonte ispirazione per molti pittori religiosi della seconda metà del XIX secolo, e paesaggista, autore di vedute notturne o crepuscolari, cariche di quella irriducibile tensione tra l’uomo e la Natura che è alla base della pittura romantica. Dopo il 1870, Doré scelse di dedicarsi principalmente alla pittura, ammirata soprattutto in Inghilterra (nel 1874, in occasione di una mostra a New Bond Street a Londra, venne istituita la galleria Gustave Doré, che ancora oggi raccoglie alcuni dei suoi migliori dipinti), e alla scultura, di cui ci resta la statua di Dumas padre (1882), eretta nella piazza Malesherbes di Parigi nel 1884. Gustave Doré morì infine a Parigi nel 1883.

Artista eclettico e poliedrico, Doré si è espresso attraverso molti linguaggi – disegno, incisione, pittura, acquerello, scultura –, sperimentati in formati e generi sempre diversi, tracciando per sé un percorso creativo del tutto originale e complesso, ma non per questo meno coerente. A garantire coesione alla sua vasta e variegata produzione è, soprattutto, il ricorrere di alcuni soggetti, quali zingari, saltimbanchi, indovini, incontrati nei contesti gioiosi delle feste popolari o dei balli in maschera, e tematiche, meno giocose ma altrettanto sentite, come quella della morte, che dolorosamente trionfa in occasione di tragici eventi storici e personali o si manifesta per mezzo di inquietanti visioni dell’inferno, che raggiungono l’esito più incisivo proprio nelle 75 illustrazioni della Commedia dantesca esposte a Rovigo.

La catabasi prosegue poi con Robert Rauschenberg e il suo Dante’s Inferno (1858-’60), un ciclo di opere realizzate mediante la tecnica del disegno di riporto (transfer drawing), una combinazione di disegni e acquerelli con immagini trasferite dalle pagine di riviste patinate, al fine di gettare un ponte fra i diversi contesti storico-culturali dei due artisti, quello di Dante e quello di Rauschenberg, mettendo, come scrive a tal proposito la curatrice Barbara Codogno, «in relazione la vita politica e l’anima sociale americana del Dopoguerra con la narrazione epica di Dante, entrambe unite da un’ineluttabile discesa agli inferi».

Milton Ernest (in arte, Robert) Rauschenberg nacque, nel 1925, a Port Arthur, in Texas. Si formò presso l’istituto d’arte del Kansas, l’Académie Julian di Parigi, dove conobbe la pittrice Susan Weil (sua moglie fra il 1950 e il 1953), e il Black Mountain College del North Carolina, sotto la guida di Josef Albers, uno dei fondatori del Bauhaus. Completò gli studi, fra il 1949 e il 1952, all’Art Students League di New York, assieme al futuro collega e compagno Cy Twombly. Nel corso dei primi anni ’50, il suo linguaggio subì una rapida evoluzione, passando dalle serie pittoriche monocromatiche White Paintings e Black Paintings, intese come strumenti di ricerca dell’essenza più pura dell’espressione artistica, alle prime prove polimateriche intitolate Red Pintings, dipinti rossi, ai quali venivano applicati legno, unghie, carta di giornale e altri materiali, che l’artista aveva raccolto per strada e portato in studio, antesignani dei suoi futuri Combines. Rauschenberg era solito raccattare oggetti particolari che trovava per strada e offrire loro una inedita e insolita funzione nei suoi lavori. L’idea di fondo, che rimarrà costante in tutta la sua produzione, era quella di operare “nel vuoto tra arte e vita”, annullare cioè la distinzione tra oggetti d’arte e oggetti d’uso quotidiano, sviluppando ulteriormente le questioni sollevate dai dadaisti e, soprattutto, da Marcel Duchamp. Da queste esperienze, maturò, tra il 1954 e il 1962, il progetto dei Combines, una serie di opere scaturite dalla combinazione di ritagli di giornali, pittura, fotografia e utensili della più varia natura (abiti, rottami urbani, parti di fasulli cornicioni architettonici, animali tassidermici, ecc.), che testimonia la possibilità di fondere le diverse forme espressive con la vita di tutti i giorni. A questo stesso periodo risale l’elaborazione del Dante’s Inferno.

Dal 1962, iniziò ad incorporare nei suoi dipinti anche immagini trovate per caso, tramite il processo della serigrafia, diffuso, fino a quel momento, soltanto in ambito pubblicitario. L’incontro fra serigrafia e pittura gli permise di colmare, ancora una volta, lo scarto fra la dimensione raffinata ed eterna dell’arte e quella grezza e effimera della merce e divenire, insieme a Andy Warhol, uno dei precursori della Pop Art americana. Nel 1966, avviò,

assieme a Billy Kluever, “Esperimenti in Arte e Tecnologia”(E.A.T.), un’organizzazione non-profit a favore di una proficua collaborazione fra artisti e ingegneri. Mosso dal desiderio di espandere e arricchire la “terra di mezzo” fra i poli opposti di tradizione e innovazione, natura e cultura, nello sperimentare materiali e tecniche via via più moderni, cercò sempre di conservare e valorizzare un rapporto armonico con l’ambiente naturale, come testimonia la scelta di usare tinte vegetali biodegradabili per il trasferimento di stampe digitali. Per tutta la vita, Rauschenberg si occupò inoltre di teatro e danza, disegnando costumi, sia per Merce Cunningham, Paul Taylor e Trisha Brown, che per le proprie produzioni. Nel 1998, la Japan Art Association gli consegnò il “Premio Imperiale” per la pittura. Morì di arresto cardiaco, nel 2008.

Accanto ai due suddetti, celeberrimi, cicli, la mostra presenta una prima assoluta, l’Inferno letto con la sensibilità contemporanea dell’artista tedesca, attiva a Treviso, Brigitte Brand, che ha scelto il Parco del fiume Sile, come luogo ideale per portare alla luce la propria visione infernale.

Brigitte Brand è nata nel 1955 a Rastatt, in Germania. Si è formata, fra il 1975 e il 1981, all’Akademie der Bildenden Künste di Stoccarda con K.R.H. Sonderborg e ha approfondito i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, sotto la guida di Emilio Vedova. Dal 1980 espone su invito in spazi pubblici e privati in Austria, Germania, Italia, Croazia, Slovenia e Ungheria. Il suo lavoro indaga lo spazio e la luce nelle forme più varie, a partire da immagini e riflessioni raccolti in occasione di viaggi compiuti in tutto il mondo (ex-Jugoslavia, Spagna, Messico, India, New York, Turchia, Armenia, Balcani e sud est asiatico) e, successivamente, rielaborati con tecniche e supporti diversi. «La potente fascinazione dell’Inferno dantesco l’ha portata – scrive Virginia Baradel – a rielaborare il bagaglio dei suoi appunti visivi sulla Commedia umana, osservata alle diverse latitudini del pianeta, con i luoghi e le figure del primo Cantico del Poema. Nella trasfigurazione, piccoli segni vaganti in spazi sulfurei e vorticosi sembrano narrare le vicende e i protagonisti dei canti, ora sollevati da onde di colore, ora affiancati da citazioni iconiche legate alla vita quotidiana».

La Brand propone inoltre un Omaggio alla Grande Quercia, l’albero cui Dante sarebbe stato tributario della propria salvezza, che si ricollega a La Quercia di Dante, un progetto di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Comune di Rovigo, Accademia dei Concordi, Parco Regionale del Delta del Po Veneto (Riserva della Biosfera MAB Unesco), Comune di Ariano nel Polesine, insieme ad altre istituzioni territoriali e nazionali, cui è riservata, nello stesso Palazzo Roncale, un’ampia sezione documentativa.

A ulteriore conferma dell’inesauribile e multiforme fascino esercitato dalla Commedia dantesca sulla cultura di ogni tempo e ogni luogo, completano l’intenso percorso espositivo altri preziosi cimeli, tra cui alcune antiche edizioni dell’opera, concesse dall’Accademia dei Concordi e dalla Biblioteca del Seminario Vescovile di Rovigo, il volume, illustrato e commentato da Patrick Waterhouse e Walter Hutton, due giovani artisti in residenza a Fabrica, il laboratorio creativo di Benetton, L’Inferno di Dante. Una storia naturale (Mondadori, 2010) e l’Inferno di Topolino (1949), disegnato da Angelo Bioletto e sceneggiato da Guido Martina in terzine dantesche.

Si prospetta come un viaggio appassionante e ricco di esperienze, che tracciano una mappa indelebile nell’anima, ma dai quali non si garantisce il ritorno. Del resto, ammonì, ancor prima del Sommo Poeta, il suo Maestro: «Scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo – qui sta il difficile, qui la vera fatica» (Eneide, VI, 126-129).

Box informazioni:

Visioni dell’Inferno

(28 febbraio – 28 giugno 2020)

Palazzo Roncale

Piazza Vittorio Emanuele 25, Rovigo

Lunedì – Venerdì 9.00 – 19.00

Sabato, domenica e festivi 9.00 – 20.00

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