Francisco de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 1746 – Bordeaux, 1828), come solo pochi grandi maestri hanno saputo fare, ha prodotto un’opera che abbraccia scenari artistici eterogenei. Pur essendo celebre tra i contemporanei per i ritratti di sovrani, aristocratici e personaggi di spicco della cultura, oltre alle opere su commissione realizzò anche varie serie di incisioni, alcune pubblicate in vita – come i Capricci (1799) e la Tauromachia (1816) – e altre divulgate solo dopo la sua morte, come i Disastri della guerra (1810-1815) e i Disparates (1815-1824). Attraverso tali opere, l’autore ha dato mostra di una visione estremamente personale e critica della società del suo tempo e dell’essenza del genere umano. Ma Goya è stato anche un prolifico e straordinario disegnatore: oltre ai bozzetti preparatori per le incisioni summenzionate produsse nove quaderni o raccolte di disegni. Nei quasi cinquecento fogli che sono giunti fino a noi, così come nelle incisioni, Goya seppe ignorare le convenzioni ed esprimersi senza alcuna autocensura, evitando di attenersi al “politicamente corretto” cui era vincolato nelle opere destinate a essere esposte in pubblico. Nei suoi quaderni, l’autore trascende inoltre i limiti della realtà e si abbandona a fantasiose trasfigurazioni del mondo che lo circonda; in essi affiora dunque la sua arte più personale, quella che si nutre dell’esperienza per tramutarsi, attraverso l’immaginazione, in creazione intellettuale. Goya si mostra critico, a volte in maniera sottile ma sempre efficace, nei confronti de- gli aspetti più riprovevoli del comportamento umano, l’irrazionalità, la violenza, la fragilità dei deboli e la prepotenza dei forti.
Solo il primo dei quaderni, il cosiddetto Quaderno italiano, composto durante il viaggio in Italia tra il 1771 e il 1772, è rimasto intatto e con la rilegatura originale. Gli altri, noti in ordine alfabetico o con i nomi attribuiti dagli storici – Quaderno di Sanlúcar [A], Quaderno di Madrid [B], Quaderno C, Quaderno di vecchie e streghe [D], Quaderno dai margini neri [E], Quaderno F e Quaderni di Bordeaux [G e H] –, vennero smembrati dopo la morte di Goya, riorganizzati in tre album spuri dal figlio Javier e venduti separatamente dal nipote Mariano nel 1859, dopo la morte del padre avvenuta nel 1854. In seguito ad aste e compravendite, i fogli finirono quindi dispersi in varie collezioni pubbliche e private d’Europa e d’America.
Fa eccezione il Quaderno C, quello che il lettore tiene fra le mani. nel 1866, Ramón Garreta y Huerta vendette al Museo de la Trinidad tre dipinti di Goya e un album contenente 186 disegni tratti da alcuni dei quaderni già citati – dal Quaderno di Sanlúcar a quelli di Bordeaux – e 120 disegni del Quaderno C. Nel 1872, a seguito della fusione del Museo de la Trinidad con quello del Prado, tali opere passarono a quest’ultimo dove, alla fine dell’ottocento, vennero esposte prive di rilegatura.
Il Quaderno C era originariamente composto da almeno 133 fogli, dato che l’ultimo disegno a noi noto riporta quel numero. al Prado mancano quindi almeno tredici disegni, verosimilmente separati dagli altri intorno al 1860: ne conosciamo solo cinque – ripartiti tra l’Hispanic Society of America (fogli 71 e 128), il British Museum (foglio 88), The Paul Getty Museum (foglio 78) e una collezione privata (foglio 11) – mentre altri otto sono ad oggi ignoti (fogli 14, 15, 29, 56, 66, 72, 110 e 132).
I fogli – in carta vergata prodotta in Spagna da “Gaudó e hijo” – sono disegnati solo sul recto, ma la sottigliezza del materiale e l’intensità degli inchiostri fa sì che in molti casi la composizione traspaia anche sul verso. Dal punto di vista formale vi si delinea una sorta di ritorno alla sobrietà rispetto alle creature caricaturali che popolano la seconda metà del Quaderno di Madrid, e l’autore si concentra sulla rappresentazione apparentemente realistica della figura umana. Nella sua evoluzione tecnica, Goya inizia a servirsi di un guazzo più asciutto – al punto che si riesce a scorgere la traccia lasciata dai peli del pennello sulla superficie ruvida della carta vergata – ma continua a lavorare nel suo modo caratteristico, sovrapponendo gli strati come si fa in pittura, partendo da un tenue accenno dei contorni a matita nera e continuando con l’applicazione di gradazioni di varia intensità, prima chiare e poi scure. Dal foglio 59 in poi, sostituisce all’inchiostro di nerofumo quello ferrogallico, più caldo, e in parallelo al cambiamento dei temi accentua l’oscurità delle composizioni e raffigura scene sempre più drammatiche.
Gli anni successivi alla guerra d’indipendenza contro l’invasione francese (1808-1814) furono particolarmente proficui per Goya che, pur avendo poche commissioni ufficiali, riversò la propria creatività in opere concepite in piena libertà. Il cosiddetto Quaderno C (1814-1823) riassume, forse come nessun’altra raccolta grafica, l’ambivalenza della sua opera. Insieme agli schizzi indubbiamente ispirati a personaggi o eventi osservati nelle strade e nelle campagne desolate di una Spagna devastata, Goya presenta “visioni” frutto della sua immaginazione, ma di innegabile valore allegorico. Osservando i vari disegni è talvolta difficile definire il confine tra reale e immaginario. In molti casi sembra in effetti di poter affermare che tale limite non esiste. Poveri, storpi, pazzi, deformi – figure ai margini della società, per dirla in breve – popolano le prime pagine del quaderno e testimoniano la realtà della Spagna dell’epoca. Poi appaiono esseri scaturiti dalle visioni dell’artista, dai suoi incubi. Segue una grande e straordinaria sequenza di fogli raffiguranti scene di carcere e individui crudelmente castigati dall’Inquisizione – istituzione soppressa durante il Triennio liberale (1820-1823) – che costituiscono nell’insieme un’eloquentissima condanna dei patimenti causati dall’ingiustizia. Il successivo gruppo di disegni mostra le conseguenze del processo di alienazione dei beni ecclesiastici avviato nello stesso Triennio durante il quale venne ripristinata la costituzione del 1812. Tale processo condusse alla chiusura di numerosi monasteri e costrinse frati e suore ad abbandonare la tonaca per intraprendere una nuova vita, lontano dalla sicurezza dei conventi. Accanto a questi ultimi, vari disegni esaltano la libertà, la ragione e la giustizia; tali immagini vanno ricollegate alle speranze riposte da Goya nella politica riformista liberale del Triennio costituzionale.
È stato ipotizzato che il Quaderno C fosse una sorta di diario grafico in cui Goya illustrava tutte le sue preoccupazioni, in particolare quelle riguardanti il destino degli individui più miseri ed emarginati, coloro che in un modo o nell’altro subivano le conseguenze economiche, sociali e politiche del dopoguerra, le vittime delle circostanze con le quali l’artista ormai anziano, sordo e in una situazione finanziaria e politica precaria a causa delle proprie idee, poteva in gran misura identificarsi. Lo strazio che pervade questi fogli è forse espressione della sofferenza personale dell’artista e il pessimismo che traspare dai disegni è quello di un uomo profondamente disgustato da ciò che lo circonda.
Queste prove esigono un osservatore-lettore attivo, che mediti sulla loro composizione e sul loro significato. Le didascalie di pugno dell’autore, che spesso fungono da titolo o da commento alle varie immagini, sono rivelatrici, poiché il doppio senso su cui giocano invita a riflettere sulla reale intenzione che le anima. In questo senso la parola e l’immagine formano un insieme indissolubile e vanno recepite all’unisono. Spesso, inoltre, le parole costruiscono un trait d’union tra i vari disegni, concatenano opere che acquisiscono il loro effettivo significato quando vengono “lette” in successione, come le pagine di un libro. Solo così è possibile cogliere le sequenze e i gruppi tematici concepiti da Goya nel corso dell’elaborazione del Quaderno C.
José Manuel Matilla
Curatore senior del dipartimento disegni e Stampe
Museo Nacional del Prado