Tra i luoghi romani maggiormente legati alla figura di Raffaello figurano certamente le Stanze affrescate per Giulio II della Rovere e poi per Leone X Medici dal 1508 al 1520, anno della morte prematura dell’artista.
L’ultimo intervento di Raffaello in questi ambienti si trova nella quarta e più ampia delle Stanze, la Sala detta di Costantino per via del programma decorativo a lui dedicato; la tradizione identificava infatti in Costantino il primo imperatore cristiano, e attribuiva alle sue politiche l’inizio del potere secolare della Chiesa.
Per questa Sala Raffaello aveva pensato ad una tecnica diversa da quella tipicamente utilizzata, l’affresco. Ne aveva invece scelta una antica, basata sull’utilizzo della pece greca, una resina vegetale che doveva essere stesa sulla parete, rinforzata mediante l’affissione di chiodi, e su questo strato si procedeva poi con la pittura ad olio.
La maggior parte della decorazione di quella Sala è, però, oggi, ad affresco. Come mai? E cosa resta, invece, del progetto di Raffaello? Dopo la morte del maestro, il 6 aprile del 1520, i suoi pur talentuosi allievi Giovan Francesco Penni e Giulio Romano non se la sentirono di proseguire per la via sperimentale iniziata da Raffaello e tornarono alla tecnica usuale.
La mano raffaellesca è tuttavia presente in due figure che già tra i contemporanei suscitavano un’attenzione particolare per via del ben visibile stacco stilistico, in meglio, rispetto al resto della Sala. Le due figure in questione sono la Comitas (Mansuetudine) e la Iustitia (Giustizia), figure femminili allegoriche alla destra rispettivamente della Visione della Croce e della Battaglia di Ponte Milvio.
Una curiosità riguardante queste due figure testimonia della prassi artistica sempre fortemente sperimentale di Raffaello, un artista sempre pronto ad imparare dai propri errori e recettivo nei confronti di qualsiasi miglioria sia stilistica che, come in questo caso, tecnica. Le due figure allegoriche presentano una differenza nell’esecuzione. La Comitas, la prima tra le due ad essere dipinta, è stata realizzata ad olio puro, una tecnica che in combinazione con la pece si è rivelata non ottimale, tanto che la figura risulta lievemente imprecisa. Raffaello corse immediatamente ai ripari: realizza infatti la Iustitia con un misto di olio e tempera grassa, mistura che riesce ad aggrapparsi meglio allo strato di resina e a produrre una figura più precisa.
Anche quest’ultimo intervento negli appartamenti privati pontifici rivela un Raffaello sempre teso a perfezionarsi, non soltanto nelle decisioni preventive ma anche in corso d’opera, in un progresso tanto rapido che è misurabile di parete in parete.