“Ogni tanto mi parla. Quando non prega o non discute con le altre persone, pensa a me e a papà. A come glielo dirà e alla sua reazione. Sarà certamente felice, perché mi hanno voluto e cercato subito. A trentanove anni non potevano aspettare”.
Mamma “è contenta perché dentro di lei è sbocciata una vita. Ha fatto il test: positivo”.
“È contenta. Anch’io lo sono. Senza la preoccupazione del cromosoma in più sarebbe meraviglioso”.
Già, quel cromosoma in più presente, di cui i genitori ignorano ancora l’esistenza, ma che il feto sente, sin da subito, di possedere.
“Quali conseguenze avrà? Se è qualcosa in più vuol dire che sarò ‘più’ in tutto: più intelligente, più alto, più bello, più forte, più simpatico? E se invece quel ‘più’ fosse un peso, un freno che mi renderà tutto più difficile?”
Questa è la delicata ed intensa storia di Alberto, ragazzo con la sindrome di down, scritta da lui stesso, insieme a suo padre Ezio, che trova la forma struggente nel racconto, edito da San Paolo, “Scoprirsi down”.
Un testo che sa di vita e di gioia, nonostante i tanti dubbi e le tante sofferenze che costellano la vita stessa di Alberto e dei suoi genitori; è un inno all’amore, alla speranza, alla fiducia, un’iniezione continua di forza e fede, a cui aggrapparsi nei momenti più difficili.
E soprattutto è il racconto intimo e personale di Alberto, di come ha vissuto e vive lui stesso il suo cromosoma in più.
Ed è forse, questo l’aspetto più interessante e struggente del testo scritto a quattro mani da Aberto ed Ezio: per una volta è un down a raccontare se stesso, ad osservare il mondo dal suo punto di vista, a guardare la società che ruota intorno a lui; non è lui, l’osservato speciale, il giudicato, spesso con toni pietistici, o superficiali, ma, finalmente l’osservatore, ed il narratore di una storia, la sua storia, che è straordinariamente speciale, nonostante la sua malattia genetica.
Un racconto di anime, che pulsano vita e sprizzano gioia, di anime che non si arrendono al destino beffardo ed avverso di una vita maledettamente già segnata e condannata, ma che lottano e combattono, contro le difficoltà quotidiane, contro i pregiudizi della gente, contro l’ignoranza di una società, purtroppo, sempre, troppo superficiale.
“Scoprirsi down” è la storia di un bimbo nato dall’amore di due genitori straordinari, amato e voluto sin dal concepimento. Sono i nove mesi in cui lui stabilisce un rapporto simbiotico unico con sua madre, e da lì, da quel suo mondo ovattato, ascolta il mondo che lo circonda, le parole d’amore dei suoi genitori, ma anche quelle normali preoccupazioni, che vivono ogni coppia che sta per avere il loro primo figlio.
“È tardi. Percepisco il buio e il calore del letto. Mi piace questo momento. Di solito mamma e papà pregano in silenzio. Poi si raccontano i fatti della giornata. Qualche volta ridono e scherzano. Li sento vicini. Tra di loro e con me”.
Sono le sensazioni vissute durante i normali esami clinici, che mostrano tutta una naturale preoccupazione di chi attende il lieto evento; esami che non evidenziano, però, ancora quel cromosoma in più.
“Sono preoccupato: neanche una parola sul cromosoma in più. Con l’ecografia non si può vedere? Si è sistemato da solo? L’hanno fatto sparire le carezze di mamma o la musica classica? La loro felicità mi dà forza. Però devo chiarire la questione. E se mamma avesse fatto l’amniocentesi? Meglio di no! Se li ha messi in crisi un rene ingrossato, chissà come avrebbero preso il cromosoma in più”.
Ed è la storia di un parto, la gioia della nascita che si mescola con la preoccupazione della scoperta della malattia genetica di Alberto.
Non ci sono conferme mediche immediate, non c’è la delicatezza dei medici che devono dare la notizia ai genitori; e ci sono loro, davanti al loro bimbo, con la gioia nel cuore e mille dubbi e preoccupazioni, per la sua vita, per il suo futuro.
“Sto arrivando. Ho voglia di nascere. Di vedervi in faccia. Per capire come prenderete la novità del cromosoma in più. Se c’è ancora… Per continuare con voi una sfida che finora ho affrontato da solo”.
Ecco, questa sfida verrà abbracciata da tutti e tre, con il supporto ed il prezioso aiuto delle nonne, dei loro amici più cari, della fede in Dio, a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto.
Una sfida dura e faticosa, che deve fare i conti con la diffidenza e l’ignoranza delle persone, con la medicina che ancora non sa fornire risposte certe, e soprattutto, spesso manca di tatto e delicatezza, nel supportare i genitori stessi.
Una sfida che ti tormenta ogni giorno con dubbi e preoccupazioni, per il futuro di quel bimbo, di come crescerà, di come vivrà, di come verrà accettato dagli altri, quanto soffrirà nell’avere quel cromosoma in più.
È la Sindrome di Down o Trisomia 21; “i segni? Gli occhietti a mandorla, il naso un po’ schiacciato, la fronte piatta, il rigonfiamento sul collo, le orecchie piccole, il solco orizzontale sulle mani. Le prospettive di vita? Vivono meno degli altri. Si ammalano spesso, sono costantemente in ritardo rispetto ai coetanei. Camminano molto tardi. Parlano molto tardi. Imparano a leggere e a scrivere molto più tardi. Talvolta mai. Sempre in modo elementare. Sono destinati all’emarginazione sociale. Per lui la mia esistenza è già segnata. Tutta negativa. Tutta in ritardo. Tutta problematica”.
Ecco, questa di Alberto è invece, una vita ricca ed intensa, una vita fatta di rincorse e cadute, una vita vissuta con un peso in più rispetto ai suoi coetanei, che però è divenuto un peso leggero, grazie all’aiuto di tante persone che hanno amato e amano Alberto, lo fanno sentire una persona normale, lo incoraggiano e lo stimolano, lo aiutano e lo supportano nel percorso difficile della sua vita.
Ed è tutto ciò che ha reso Alberto il ragazzo che è oggi, non un emarginato, non un problematico, non un peso, ma una persona felice e realizzata, perché se si vuole veramente, certi miracoli nella vita si possono veramente realizzare.
“Cosa potrei desiderare ancora? Forse una casa tutta mia, a cui stanno pensando mamma e papà. Magari da riscaldare con un amore condiviso. Qualche serata in discoteca con gli amici, perché mi piace ballare e conoscere gente. Una crociera, anche solo nel Mediterraneo. L’aspirazione maggiore resta quella di aprire un ristorante sul Lago di Garda, dove abita la nonna Bruna. Sogni? Per adesso… L’importante è
continuare a realizzare i miei progetti con le persone che mi vogliono bene. Come ho sempre fatto. La vita è bella e vale la pena di viverla. Anche con un cromosoma in più!”
E, per questa piccola, grande lezione di vita, tutti noi dovremmo ringraziare Alberto.