Era un martedì il 12 febbraio del 1924, quando Antonio Gramsci fondò l’Unità – quotidiano degli operai e dei contadini, che secondo le sue intenzioni non doveva avere nessuna inclinazione politica, ma essere un giornale di sinistra che simboleggiasse l’unione del proletariato nella lotta per la rivendicazione dei suoi diritti. I primi anni furono assai turbolenti, perché l’uscita del giornale fu pesantemente osteggiata dal Patito Fascista, che ne decretò il sequestro definitivo nel 1926, in seguito alla promulgazione delle cosiddette Leggi a difesa dello Stato, emanate all’indomani dell’attentato subito da Mussolini a Bologna per mano del quindicenne Anteo Zamboni, le quali prevedevano anche la decadenza dei parlamentari aventiniani e la chiusura di tutti i partiti politici. Così l’Unità comincia ad uscire in clandestinità a partire dall’agosto del 1927 e continuerà in questo modo fino alla Liberazione di Roma, il 6 giugno del 1944. La storia del giornale si evolverà fino alla sua trasformazione in organo del Partito Comunista Italiano e la sua pubblicazione si legherà indissolubilmente alle vicende politiche e sociali del Paese, dal secondo Dopoguerra a oggi. Negli anni di Togliatti e Longo (fine ’50 inizio ‘60) muterà in quotidiano a tiratura nazionale, unendo le edizioni di Milano, Genova e Roma e nel 1967 l’ex deputato democristiano Mario Melloni diventerà corsivista sulle sue colonne, con salaci e sarcastici interventi sotto lo pseudonimo di Fortebraccio. Negli Anni di Piombo raggiungerà la sua massima tiratura e dalle sue colonne Pier Paolo Pasolini spiegherà il perché del suo voto al Partito Comunista nelle elezioni regionali del 1975. Nel 1977 l’editorialista del giornale, Nino Ferrero, viene ferito in un attentato di Azione Rivoluzionaria e durante il sequestro di Aldo Moro, l’Unità condannerà pesantemente le Brigate Rosse, bollandoli come nemici della democrazia. Nel 1989, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, il giornale titola “Il giorno più bello d’Europa” e, nel 1990, diviene direttore Renzo Foa, primo non dirigente di partito dagli anni Cinquanta. La direzione passa poi nelle mani di Walter Veltroni, che lo modernizza trasformandolo nel primo quotidiano italiano ad “allegare” al giornale ogni genere di gadget a pagamento. Nel frattempo la dicitura della testata è cambiata da “Giornale del Partito Comunista Italiano” a “Giornale fondato da Antonio Gramsci”. Nel 1995 l’Unità diviene il primo quotidiano in Italia ad aprire un proprio spazio su internet, iniziativa che riscuote subito un immediato successo. Negli ultimi anni, però, le cose sono andate sempre peggio dal punto di vista finanziario e lo scorso 29 luglio il quotidiano ha chiuso i battenti. Curiosamente, anche il 29 era martedì. Senza troppa retorica né panegirici non richiesti, è comunque triste assistere alla chiusura di un giornale, perché la stampa rappresenta, per alcuni versi, la forma più compiuta di libertà di espressione, una libertà fondamentale. È vero che il concetto di quotidiano come organo di partito è sicuramente stato superato da un pezzo e risulta anacronistico ma ben vengano punti di vista diversi, perché essi garantiscono la pluralità e il rispetto delle opinioni di chiunque. La perdita di queste voci, per questioni di carattere economico, è uno svilimento ulteriore delle condizioni culturali di questo Paese, il cui stato disastrato è drammaticamente sotto gli occhi di tutti.
Patrizio Pitzalis