La lingua di Dio

C’era una volta la parola, e c’era una volta il suo significato: unico, preciso, indiscutibile. C’era una volta la Parola, l’aritmetica dell’alfabeto si unisce alla meccanica umana dell’espressione di un simbolo. In un passato non troppo lontano gli uomini non avevano ancora iniziato a dilapidare il principio che loro stessi avevano stabilito come elemento primo della Creazione. “In principio era il Verbo”, dicevano solo qualche anno fa.”In principio era il Verbo, ed il verbo era presso Dio”; un modo meravigliosamente chiaro per disegnare l’Astratto al Reale e donarselo, rendendosi conto della sua potenza, della sua forza e comprendendo che la capacità di padroneggiarlo poteva schiudere le porte della creazione – perché la parola crea. 1111Da forma a ciò che prima era solo idea. E avendo nelle proprie mani la possibilità di creare con la Parola, l’uomo decide di creare Dio a propria immagine. Ma l’uomo è vario, e può capitare che qualcuno di essi perda per strada il legame primo fra il significante ed il significato, e poi, che anche altri seguano il suo esempio inadeguato alla trasmissione del pensiero. Così, nel tempo, l’uomo ha smesso di essere dio nel proprio mondo, e le parole hanno smesso di creare costantemente quel mondo; come era stato fino a poco prima. E senza neanche accorgersene le mani di queste moltitudini hanno perso la presa sulla Creazione e sulla capacità di maneggiare gli strumenti adatti alla corretta espressione di sé. Fino ad arrivare ad oggi, giorni di comunicazione rapida ed efficace, in cui non ha importanza utilizzare la parola corretta per trasmettere l’esatto pensiero concepito da una Mente che era Dio fino a pochi anni prima; no, non importa più. Quel che importa è la velocità di trasmissione, lasciando spesso al contesto la comprensione, al sottinteso il nucleo principale e delegando ad altre lingue concettualmente differenti significati che risulterebbero più comprensibili se venisse utilizzata la parola originale nata per la descrizione accurata di quel sentimento, di quel concetto, di quell’oggetto. La rapidità della comunicazione sta rompendo il legame fra parola e significato e, ritenendo le parole di uso comune troppo comuni, gli umani stanno pescando a casaccio fra quelle che donano più enfasi alla narrazione, sempre di più fino a trasformarle in ciò che hanno abbandonato poco prima, trasformandole in altre parole di uso comune. Ed ecco che l’Amore, la Felicità, la Libertà cominciano ad allontanarsi dalla loro naturale strada comunicativa, via via, fino a perdersi fra i flutti nel grande mare della banalità. E rimaniamo ancora una volta al solito punto, a parole forti svilite da deboli concetti. Chissà se un giorno qualcuno sceglierà di ridare alla rosa il suo nome, se qualcuno si interrogherà sull’idea originale a cui quella somma di lettere dona la Vita comunicandola. Chissà se un giorno si tornerà a leggere, e ad imparare; non dalla scuola, che è una fabbrica di schiavi felici se non popolata da insegnati ribelli. Perché la rivoluzione parte dal basso, come la cultura, dal suolo.

 

Giampaolo Giudice

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