Elham, la donna pesce

Non è facile nuotare con un foulard in testa e un camicione lungo, ma Elham Asghari, nuotatrice iraniana di 32 anni, c’è riuscita, raggiungendo persino il record nazionale dei 20km rana femminile in mare aperto, a largo di Noshar, nel Mar Caspio. La Federazione del suo paese ha comunque deciso di ritoccare e per giunta diminuire tale record a 18 chilometri, senza neanche registrare ufficialmente l’impresa. Il motivo sembrerebbe celarsi dietro quella che era la mise sportiva dell’atleta, giudicata “inaccettabile”. Il dissenso di Elham è stato tale, che, poco dopo il fatto, ha deciso di pubblicare su Youtube un video denuncia contro l’ingiustizia subita, registrato sott’acqua e sottotitolato in inglese, così da poter avere una risonanza globale. “Nessuno vorrebbe nuotare così. Ma non avevo scelta”, ha sostenuto Elham. Ma così come? Il suo abbigliamento era composto da una muta da sub, un camicione nero lungo fino ai piedi e una cuffia coperta infine da un foulard. Una serie di elementi disturbatori, che una volta bagnati raggiungevano un peso di sei chili. Un bikini molto sui generis e certamente non di aiuto a qualsiasi professionista della disciplina. Almeno in principio, i giudici che l’avevano seguita da vicino nell’impresa, non avevano avuto da ridire. “Ho rispettato il dress code islamico e gli arbitri sportivi non mi hanno lasciato sola un secondo, hanno detto che non avevano nulla da obiettare. E’ insopportabile che il mio nuovo record non sia stato accettato”, ha obiettato la giovane. Ma alla fine, la sua diligenza non ha comunque convinto a sufficienza i membri della Federazione. In realtà la questione risveglia una polemica che non si è mai realmente assopita, ovvero la copertura del corpo femminile attraverso il velo, che in base all’ordine islamico, caratterizza la separazione tra sessi. Un ordine in base al quale la donna non deve restare scoperta davanti ai maschi, se non quelli appartenenti alla propria famiglia. Il velo, obbligatorio dal 1981 in Iran, è un elemento che spacca ancora il mondo femminile. Per le donne laiche e più moderniste esso è vissuto con malcontento, tanto da essere spesso apostrofate come bad hejab, mal velate, o perché lasciano intravedere i capelli o perché ne indossano uno dal colore troppo appariscente. Il chador, il velo nero che copre per intero il corpo, lasciando visibili solo il volto e le mani, non è invece obbligatorio, bensì incoraggiato e consigliato, considerando la sua poca praticità mentre si svolge un’attività lavorativa. In teoria, la moralità islamica prevede anche che la donna non indossi scarpe colorate o con il tacco, né trucchi troppo appariscenti, che possano indurre alla tentazione sessuale e alla promiscuità. Chiaramente in un Paese come l’Iran, in cui la maggioranza della popolazione ha un’età inferiore ai 40 anni, è normale che tale visione sia disattesa e non rispettata da tutte all’unisono. Ciò che rende invece degno di nota il caso della giovane Elham, è proprio la sua volontà di voler obbedire al codice, venendo però ugualmente penalizzata. Eppure la tenacia con cui questa donna ha dimostrato di poter raggiungere il proprio obiettivo, è già di per sé un successo che andrebbe premiato. Ci auguriamo perciò che la vicenda non scoraggi tutte le promesse dello sport femminile iraniano, che meritano pari dignità e importanza di quelle maschili.

 

Silvia Di Pasquale576776-elham-asghari

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