Colpe immortali

Quest’estate rimbalzava in ogni radio la canzone di Emma Marrone dal titolo “Dimentico Tutto”. Nel ritornello era presente una frase molto discutibile: “la storia non è la memoria ma la parola”. Beh, niente di più falso. La memoria è infatti il veicolo principale attraverso il quale la storia si perpetua. Liberarsi dal suo peso è pressoché impossibile, a meno che non si faccia tabula rasa del nostro passato. La recentissima morte del criminale nazista Erich Priebke può essere un esempio di quanto detto finora. Il corpo di Priebke, deceduto lo scorso 11 ottobre a Roma, è da 5 giorni il fardello di un’ Europa che fa i conti con la memoria del suo passato. Tutti i Paesi rifiutano la salma di un individuo che intimorisce anche da morto. In Italia non la vogliono, in Germania, sua nazione natia, non la vogliono. In Argentina, dove egli scappò clandestinamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, idem. Il suo passato nelle SS, unito alla riconosciuta compromissione nell’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo del 1944, è tutt’uno con l’anima vagante di questo vecchietto di 100 anni, che fino a pochi giorni fa camminava indisturbato nel quartiere romano in cui abitava. Uno sparuto gruppo di individui difende, a viso aperto, colui che molti vorrebbero uccidere di nuovo, perché una morte sola non basta quando ci si macchia di colpe simili. I suoi paladini provano a tirare in ballo altri personaggi storici del passato, parimenti macchiatisi di crimini simili, che tuttavia sono riusciti a scampare alla condanna in pompa magna. Eppure non funziona. La memoria di ciò che i nazisti fecero quella primavera, è ancora troppo viva. Nessuno sconto per chi ne fu esecutore. E non importa se l’ordine partì non da lui, ma dai piani alti, molto alti, ovvero da Hitler in persona. Sappiamo che in tempi di guerra le alternative sono poche: o spari o non spari. Chi preme il grilletto sa che forse un giorno il suo nemico potrebbe uscire vincitore dallo scontro, decidendo di eliminare quello che era il suo avversario. Qualcuno sceglie il suicidio per non concedere tale soddisfazione. Chi non ha questo coraggio, deve mettere in conto la sua futura persecuzione giudiziaria e mediatica. La vendetta può infatti diventare uno strumento nelle mani dei vincitori, che mirano ad un impatto simbolico della loro giustizia politica. Il processo al nemico è necessario per consolidare la propria vittoria e renderla legittima. Come ricorda lo storico Enzo Traverso, anche il processo di Norimberga, che giudicò i criminali nazisti resisi responsabili dei crimini di guerra e della Shoah, fu prima di tutto “esemplare”. Il tribunale militare istituito dai vincitori emise delle sentenze sulla base di responsabilità individuali degli imputati. Davanti a questo tipo di accusa non c’è alcuna forma di pena. Forse l’aguzzino avrà la possibilità di evitare la propria epurazione (per esempio attraverso amnistie o fughe all’estero), ma la condanna morale no, quella lo accompagnerà per il resto dei suoi giorni e anche oltre. Ieri pomeriggio, il carro funebre che trasportava la bara di Priebke è stato preso a calci e pugni da molti manifestanti, quasi a voler ribadire l’assenza di rispetto che deve accompagnare l’ultimo saluto di un boia al mondo terreno. La storia non si cancella, perché la memoria è pronta a servircela su un piatto d’argento ogni qual volta vogliamo e il passato di un criminale nazista rimane immortale.

 

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Silvia Di Pasquale

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