Di Parole seminate e di personaggi raccolti

11111Aveva poi torto Alonso Quijano?
Poteva aver torto se alla fine era tutto reale per lui, pur non essendo mai accaduto? No.
“Ad ognuno la sua Verità, la sua dose di fantasia”.
Chi decide dunque il luogo in cui è ormeggiata questa tanto nominata Verità?
Non è stata poi una domanda così assurda quella di Pilato a Cristo.
E chi sei tu per decidere se la mia verità sia valida o meno, chi sono io per farla da padrone nel viceversa?
Esistono sì Verità univoche, ma sono fatti che attengono all’oggettività della Storia e non alla particolarità del presente; anche perché il Presente è tutta un’altra Storia.
Siamo personaggi fuggiti da vecchi libri, siamo protagonisti decadenti, eroi drammatici all’affannata ricerca di altre pagine arate a parole in cui sederci a riposo.
E in quei campi puoi perdere il senno, in quei campi puoi gettare lo sguardo e scollinare l’orizzonte, fino a sorprendere il Sole e la Luna parlarsi di nascosto, occhi negli occhi.
Ci sono ossa stanche di Cavalieri dalle corazze opache; ci sono amori travagliati ed antichi, intermittenti come luce di stelle lontane, affaticati come lettere da luoghi mai uguali.
Ci sono spalle coperte da lana spessa e pioggia fitta dal cielo scuro di mezzogiorno; notti di veglia selvaggia e giorni di sonno spietato, con sangue di polvere nelle vene e cenere sul fondo degli occhi, puntati là dove finisce il mondo, come una disperata richiesta d’aiuto.
In quei campi puoi vedere gli alberi di Atlantide, così come le pareti delle case che oggi sono scogli: case per animali che uomini non sono più.
Laggiù, in quei campi candidi di carta nuova invecchiata senza saperlo con rughe d’inchiostro, può capitare che ci si incontri a metà strada fra storie differenti. E può capitare di vedere Perseo disarmato, sedersi sulla sabbia umida e dividere il vino con Asterione nella calma scura del mare di ottobre; può accadere che un monaco si riposi sulla terra al maggese, prendendosi un momento per guardare lontano durante il proprio viaggio ad occidente, perdendo il pensiero proprio lì, dove il Sole sveglia e l’aria sa di casa.
Laggiù può accadere che si incontri il grande Bromden scrollarsi la prima neve dell’Oregon dalle spalle, pensando ancora una volta a quell’amico lontano che la nebbia ha vestito da fantasma; e se fai particolare attenzione, puoi anche vedere il grande sicomoro sotto cui un omone bambino accarezza i suoi conigli.
Ci sono linee della vita e scie di sogni ancora caldi sparsi tutto intorno, in questo sterminato campo di carta in cui vengono a riposare le vite che vorremmo essere assieme a quelle che non siamo riusciti a comprendere.
Il vento porta con se foglie rosse, che sono le parole dimenticate degli alberi, e gocce di pioggia: consolazione dell’uomo solo. Quaggiù ci sono volti controvento a lasciarsi accarezzare con palpebre serrate, perché il vento non ha bisogno di occhi; perché la sua Bellezza riposa nell’assenza, nella precarietà del suo essere mostrabile, nella sua fuga dall’avidità delle pupille.

C’è così tanto ancora da capire, ci sarebbe ancora così tanto da imparare solo dai colori dell’orizzonte. Laggiù, dove la terra finisce e gli alberi toccano il Sole…

Giampaolo Giudice

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