L’Uganda è il primo paese al mondo ad aver proibito costituzionalmente il matrimonio omosessuale. Una legge firmata dal presidente Yoweri Museveni prevede inoltre l’ergastolo per i gay recidivi e 14 anni di carcere per chi è condannato la prima volta. Essa proibisce anche la promozione dell’omosessualità e richiede ai cittadini di denunciare chi si macchia di tale reato. Neanche 24 ore dopo la sua promulgazione, un tabloid di Kampala, la capitale, ha pubblicato un elenco di 200 presunti omosessuali che occupano posti chiave all’interno del Paese, con tanto di nomi e cognomi. Titolo: “Scoperti”. La lista nera include attivisti gay del Paese come Pepe Julian Onziema, il quale ha già messo in guardia dalla nuova legge, che inciterebbe a nuove violenze nei loro confronti, poi una star dell’hip hop, popolare nel Paese e un prete cattolico. «La caccia alle streghe è ricominciata», ha twittato Jacqueline Kasha, un’altra nota attivista gay, segnalata lei stessa dal giornale. Nel 2011 ha vinto il Martin Ennal Ewards, Nobel dei diritti umani. Ha fondato Farug (Freedom & Roam Uganda). Sempre nel 2011 il suo nome e la sua foto sono apparsi sulla prima pagina del giornale locale Rolling Stone, insieme a quello di altri esponenti Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Il titolo chiedeva: “Hang Them”, impiccateli. Tra questi c’era anche quello di David Cato, insegnante e attivista ugandese, considerato uno dei padri del Movimento gay, assassinato lo stesso anno. Ma oggi la situazione non è certamente migliorata. Nello specifico, con la nuova legislazione, il carcere a vita è previsto nei casi di persone condannate più volte per rapporti omosessuali tra adulti consenzienti e verso i responsabili di atti sessuali con minorenni, disabili o persone affette da Hiv. Durante un’intervista alla CNN, Museveni ha definito i gay persone “disgustose” e l’essere omosessuali un “fatto innaturale” che non rappresenta un diritto umano. ”Rispettate la società africana e i nostri valori”, ha risposto il Presidente alla giornalista che gli chiedeva quale messaggio volesse mandare agli attivisti occidentali. ”Quello che fanno è terribile”, ha detto sempre riferendosi agli omosessuali. Ovviamente tale mossa politica ha portata acqua al suo mulino, perché la nuova legge lo ha reso improvvisamente popolare in tutto il mondo, certamente non per merito, ma per l’ostentata omofobia dimostrata. In realtà il 70enne Museveni, al potere dal 1986, ha firmato una legge che era in ballo già dal 2009. Attualmente sono 35 i processi in corso nel Paese contro gli omosessuali, calcolando il fatto che fino a prima dell’introduzione di questa legge, bisognava essere colti sul fatto per commettere reato. Ora le cose sono cambiate e probabilmente si finirà in carcere molto più facilmente. Ma non è solo l’Uganda ad aver scelto la “mano dura” contro i gay, perché in Africa sta crescendo sempre di più il tasso di omofobia, aggravata probabilmente anche dalla paura generale per la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili. L’omosessualità è considerata un crimine in almeno 38 paesi del continente. In Nigeria lo scorso gennaio è entrata in vigore una legge che prevede fino a 14 anni di carcere per le coppie gay che convivono e fino a 10 per le loro eventuali manifestazioni pubbliche d’affetto. In Cameron e Senegal si rischia fino a 5 anni. Previsti 14 anni anche in Zambia e Ghana. Ancora più noto il caso dello Zimbabwe, in cui il Presidente Robert Mugabe ha detto che i gay e le lesbiche “sono peggio di maiali e cani”. In altri Paesi dell’Africa settentrionale si rischiano dai 3 ai 6 mesi di carcere. Situazione diversa in Sud Africa, dove le persone dello stesso sesso hanno il diritto di sposarsi dal 1998. In tale scenario sommariamente sfavorevole nei confronti dei gay, spicca il caso di un attivista, Paul Kasonkomona, che in Zambia è stato assolto dall’accusa di propaganda a favore degli omosessuali; motivo: il governo non è riuscito a dimostrare le prove necessarie per condannarlo, dunque nessuna ragione ideologica. Anzi. Viste le condizioni, è piuttosto difficile ipotizzare che il numero delle sentenze favorevoli ai Lgbt supererà in futuro il numero di quelle che li condanneranno. Eppure, parliamo di quella stessa Africa in cui nacque niente meno che Nelson Mandela.
Silvia Di Pasquale