Ieri mattina è venuta a mancare Laura Antonelli, l’attrice, icona sexy del cinema degli anni ’70 e ’80; se n’è andata nella solitudine e tra l’indifferenza di tutti quelli che la conoscevano, così come da vent’anni stava vivendo: isolata dal mondo che tanto l’aveva venerata e tanto brutalmente ne aveva distrutto l’immagine e la carriera.
Si sa, la vita va veloce, e tanto repentinamente si sale la china, altrettanto veloce è poi, la discesa, anche se la sua è stata piuttosto una discesa agli inferi, distrutta dai suoi demoni e da quel mondo dorato che è il cinema.
Nata a Pola nel 1941, profuga durante l’esodo istriano, si trasferì con la famiglia prima a Napoli e poi a Roma, dove intraprese, giovanissima la carriera di attrice.
Di una bellezza straordinaria, un volto dolce ed ingenuo, occhi incantatori, pieni di sensualità, non fu difficile per lei, iniziare una carriera repentina e sfolgorante come attrice.
Dopo piccoli ruoli in spot pubblicitari, mandati in onda durante Carosello, dopo piccole parti recitate in alcuni film, le fu dato un ruolo importante accanto ad un mostro sacro come Lando Buzzanca, nel film “Il merlo maschio“, diretto da Pasquale Festa Campanile; fu un primo assaggio del successo, un primo assaggio della fama che la investirà e la devasterà successivamente.Infatti, nel 1973, interpretò il ruolo della sensuale cameriera, nel film, diretto da Samperi, Malizia; quel gioco di sguardi, di passioni, quei suoi occhi innocenti ma non ingenui, resero Laura Antonelli il sogno erotico dell’Italia, l’immagine iconica della donna sensuale, una sensualità pura, passionale ma non volgare.
Grazie a questa straordinaria interpretazione Laura Antonelli ottenne il Nastro d’Argento per la migliore attrice protagonista, conferitole dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani e il Globo d’oro per la miglior attrice rivelazione, conferitole dalla stampa estera. E, per lei si spalancarono le porte dell’Olimpo cinematografico; tutti i produttori la volevano nel proprio cast, perché sinonimo di successo, tutti i registi la cercavano, per il suo talento, la sua bravura, la sua naturalezza.Icona sensuale, Laura Antonelli, anche se non si sentiva così: “Sono bassina, un po’ tondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà perché piaccio?” si domandava lei, ingenuamente.Lavorò, tra gli altri, per Comencini, Dino Risi, Samperi, Luchino Visconti, Patroni Griffi, Bolognini e Scola, il gotha del cinema italiano; partecipò a film accanto ad attori del calibro di Giannini, Michele Placido, Mastroianni, Shelley Winters, Sordi, Diego Abatantuono, Monica Guerritore e Jean-Paul Belmondo, con il quale ebbe anche una tormentata storia d’amore.Una carriera in rapida ascesa, con il cachet che aumentava, la fama che la inseguiva, la dolce vita nella quale si cullava, e che terminò bruscamente agli inizi degli anni ’90, quandò subì un arresto per possesso di droga; infatti, fu trovato, nella sua villa a Cerveteri, un quantitativo di cocaina, e fu per questo arrestata e condannata in primo grado a tre anni e sei mesi di carcere per spaccio di stupefacenti; solamente nel 2000 venne assolta dalla Corte d’Appello di Roma, che la riconobbe consumatrice abituale di stupefacenti, ma non spacciatrice, scagionandola da tutte le accuse.Ma oramai, la discesa agli inferi era avvenuta: il mondo dorato del cinema chiuse le sue porte, nessuno le offriva più ruoli da interpretare, moltissimi di quegli amici sparirono, evitando accuratamente di contattarla. La depressione fece il resto: si isolò dal mondo, chiudendosi in se stessa, soffrendo per questo repentino abbandono subito.La sua carriera cinematrografica, si chiuse, beffa del destino, con il remake di Malizia, diretto sempre da Samperi; doveva essere la via d’uscita per tornare alla ribalta, ma la stanchezza psicologica della Antonelli, unito all’insuccesso che il film riscosse, la fecero sprofondare nella più totale disperazione.Si chiuse nella sua casa di Ladispoli, deturpata nel volto, da quelle continue iniezioni di botulino, a cui si era sottoposta, per girare Malizia 2000, convinta, o spinta, così, di fermare lo scorrere del tempo e mantenere inalterata quella sua straordinaria bellezza, sfiorita con gli anni.Nella solitudine, nell’oblio in cui si era nascosta, ha convissuto con la sua malattia e con quello stato di indigenza, ma non le tolse la dignità di donna ferita. Rifiutò l’aiuto degli amici, rinunciò al sussidio che la legge Becchelli poteva concederle, chiese solo di essere dimenticata da tutti.Così visse questi ultimi vent’anni, sola con se stessa e con i suoi demoni, isolata da quel mondo che così brutalmente l’aveva ingannata e fagocitata; “mi farebbe piacere vivere in modo più sereno e dignitoso anche se a me la vita terrena non interessa più” ebbe a dire, ed un infarto, una mattina di giugno, l’ha strappata per sempre da quella solitudine in cui stava vivendo da troppo tempo.