Parlare delle condizioni disumane in cui lavorano molti operai cinesi in Italia? Bene. Prima o poi doveva giungere questo momento. Lo sapevamo tutti, o quanto meno, lo immaginavamo tutti. Ma forse solo Dio è consapevole di cosa realmente succede dentro quei capannoni o scantinati adibiti a “fabbrichetta”, dove vivono e contemporaneamente operano migliaia di loro, spesso alle dipendenze di connazionali senza scrupoli e sovente nella totale illegalità. Per arrivare a tale presa di coscienza era necessario un incidente tragico, come quello di Prato, in cui hanno perso la vita 7 cinesi. Ci volevano i morti insomma per mettere in luce i difetti di un’economia parallela, che noi stessi alimentiamo, a volte consapevolmente, a volte inconsapevolmente. Individuare nomi e volti di chi la porta avanti non è facile, soprattutto perché, lo ripetiamo, di loro si sa ben poco. La storia dell’immigrazione cinese nel nostro paese non è recente. La cosa più assurda è che fino ad oggi essa sia stata avvolta da un alone di mistero, che ha portato molti italiani a fare stupide ipotesi pseudo fantastiche sulla loro condotta di vita, quali per esempio: “I cinesi non muoiono mai”. Adesso cari concittadini, ne abbiamo avuto la triste prova. Non credo sia corretto scrivere “per sentito dire” su tale argomento, perciò mi limiterò a riportare quello che i miei occhi hanno visto in questi ultimi anni non a Prato, ma a Roma, che nel suo quartiere Esquilino pullula di cinesi, così come delle loro misteriose attività economiche. Tutto iniziò con le luci dell’albero di Natale. Erano gli anni Novanta e comprare le decorazioni nei negozi di elettrodomestici costava un bel po’, considerando il fatto che si rompevano assai facilmente. A quel punto, perché non provare quelle che alcuni piccoli negozietti cinesi smerciavano a un prezzo bassissimo? Da una parte c’era chi diceva che queste avrebbero provocato incendi, dall’altra c’era chi se la rischiava. Fatto sta, che dalle lucette si passo agli oggetti per la casa, da questi ultimi all’abbigliamento e così in una decina d’anni ci ritrovammo sommersi di oggetti Made in China. Raramente in quei negozi si incontravano sempre gli stessi commessi o commesse. Raramente si riusciva ad instaurare una qualche conversazione che andasse oltre: -“Piace Questo? Compra”. Raramente mi fecero lo scontrino. Nel corso degli anni ho provato a comprare per curiosità anche nei negozi che si trovano nel centro della China Town romana. Niente da fare, quando entravo ero invisibile e in alcuni casi malvista. Ciò nonostante, più di una volta sono riuscita a fare qualche acquisto in questi magazzini su strada, dove entrava e continuamente usciva merce, contenuta in grossi scatoloni. Ricordo molto bene la presenza di commercianti italiani, che venivano a comprare per i loro negozi. “Allora me dai 100 de questi, 50 de quest’altri ecc” e sempre un uomo o una donna cinesi che parlavano italiano, rispondevano: -“Ok, bene sì, bene”. Insomma lì si comprava all’ingrosso, a differenza degli altri negozi cinesi nel resto della città, che vendevano al dettaglio. All’interno vedevo sempre delle giovani commesse, poco più che adolescenti, che lavoravano instancabilmente e solo di rado si scambiavano qualche parola. Mi chiedevo quale fosse la loro storia, da quale città lontana venissero e in ultimo cosa facessero nel dopolavoro. Ovviamente la mia curiosità è rimasta insoddisfatta. Ma forse, cosa più grave, non saremo in grado di conoscere nemmeno il passato di quei 7 cinesi morti nell’incendio di Prato. Ciò avrebbe quanto meno permesso di parlare di loro in maniera approfondita e dignitosa. In questi giorni successivi all’incidente stanno venendo fuori tutti i lati oscuri di un sistema produttivo al limite dello schiavismo. Ma, oltre ai sindacati, come è possibile che per esempio Amnesty International Italia non abbia mai denunciato questa realtà lavorativa, nel momento in cui lo ha sempre fatto per quelle in territorio cinese? E’ il caso di dire che a molti, forse troppi, la situazione sia sfuggita. Eppure i dossier della finanza, che accertavano l’illegalità in cui operano molte aziende di Prato, non mancavano. Proviamo ad indovinare. Due giorni fa lo yuan ha ufficialmente superato l’euro come seconda moneta più utilizzata nel trading finanziario internazionale dopo il dollaro. Vediamo chi sarà quel temerario politico italiano capace di mettersi contro il Gigante cinese, perché le fabbrichette di Prato, altro non sono che le terminazioni ultime di un sistema economico che dalla Cina stessa si dirama in tutto il mondo, conquistandolo.
Silvia Di Pasquale