L’ananas o asciugamani? Non è una domanda eufemistica ma c’è, dietro, la mia solita, perversa e polemica diffidenza verso i modi di dire e gli usi linguistici locali che rendono sgradevoli anche le cose piacevoli e utili. Adoro l’ascensore, che culla la mia pigrizia anche in discesa (ahi, la mia amica medico, biologa, nutrizionista, dietologa etc., dott.ssa Patrizia Di Gregorio, mi tirerà sicuramente le orecchie alla lettura del presente articolo…) e mi regala anche dei secondi preziosi per rispondere a qualche messaggio sul cellulare, tra un piano e l’altro, attività molto rischiosa mentre si scendono le scale… E che dire del piacevole, fresco e nettante sapore dell’esotico frutto quando raggiunge il caldo giallo, colorazione che ne denota la piena maturità? Dell’asciugamani meglio non dire, sarebbe superfluo anche solo riferire il caldo abbraccio dell’accappatoio quando si esce da una vasca da bagno a dicembre… Ebbene, che cosa c’è che turba le mie discese, il mio gusto e le mie docce? È in uso, anche diffuso nei discorsi quotidiani, un’errata attribuzione di genere ai tre oggetti su citati che, senza soggiornare nelle famose cliniche di Casablanca, riescono improvvisamente a trovare una femminilità inattesa e improvvida. “Ananas fresche a 1,39€”: forse saranno tagliati a fette…ma non è un po’ troppo, 1,39€ a fetta? “La prendi per un piano?”: penso, se devo scendere la scala per un piano e ricevere una battuta ironica, allora prendo l’ascensore! “È pulita?”, domanda rivoltami mentre sto asciugandomi l’ascella destra… Si commenta da sola. Per la grammatica italiana, i tre citati sono sostantivi decisamente maschili, senza ombra di dubbio e senza la necessità di accertamenti ormonali. Sicuramente sto correndo il rischio di essere tacciato di maschilismo estremo (vero, dott.ssa Tiziana Luise?), ma non credo tale modifica possa apportare giovamento alla causa di genere… Avrei pensato anche a una soluzione integrata, come da prospettiva “gender”, per la quale, senza certezze di fondo, ognuno potrebbe affermare in itinere il proprio genere di appartenenza e, addirittura, lasciarlo sospeso nell’aria come goccioline di vapore di una nuvola avvicinatasi troppo alla crosta terrestre. Ma, tant’è, fintanto che la lingua italiana ci darà fondatezza sul genere delle parole, prendiamocela, questa benedetta certezza, culliamola e annoveriamola tra i fondamenti di una società sempre più distratta, caotica e senza regole.