C’era una volta un mondo basato sull’apparenza, dove tutti correvano come pazzi e il “fuffologo” era una professione di tutto rispetto…
Poi venne un virus estremamente contagioso, che costrinse l’umanità a rintanarsi dentro casa, distanziarsi e riappropriarsi del tempo perduto (spesso in modo banale), riscoprendo internet come strumento di lavoro e di socialità, da utilizzare ben oltre le passate abitudini.
Lo smart working divenne la normalità e le aziende furono costrette a rivedere budget e scelte strategiche, analizzando partnership e misurando con maggior ponderatezza le varie collaborazioni, reali e virtuali.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza su alcune figure particolarmente attuali del nostro tempo, ma al tempo stesso a volte un po’ confuse nell’immaginario collettivo: i marketer, gli influencer e i creatori di contenuti.
Nel mondo di internet e dei social, infatti, è facile non avere le idee chiare perchè chiunque può dire la sua; come disse anche il grande Umberto Eco in occasione della cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Il marketing è una cosa seria, che richiede anni di studio ed un aggiornamento costante, non basta improvvisarsi creativi e saper giocare con qualche slogan e coi social network.
Così come esser giornalisti non è uno scherzo e diffondere notizie create ad arte per suscitare like e condivisioni, le cosiddette fake news, è un reato (diffamazione e procurato allarme, per essere precisi).
Sembra quasi che chiunque sia in grado di realizzare foto o video con cui veicolare contenuti, di cui spesso non si sarebbe sentita la mancanza, se capace di sfruttare le dinamiche di coinvolgimento (o “engagement”, come dicono quelli bravi) che internet offre, possa assurgere a modello da seguire, idolatrare, imitare e, in ultimo, addirittura pagare.
Tutto può essere monetizzato e allora anche il valore delle persone può esser calcolato sulla base dei risultati che esse sono in grado di generare: si è creata una sorta di indice di valutazione, un rating, basato sull’apparenza, sulla capacità di essere seguiti dagli altri, di influenzare le coscienze e le tendenze di acquisto, di avere follower.
Fino a qualche anno fa era almeno richiesta l’abilità di saper scrivere, magari anche investendo del denaro per comprare un proprio dominio e sviluppare un blog. “Troppo impegnativo, la gente non legge, siamo bombardati di informazioni, il cervello ragiona per immagini, scegliamo in meno di 3 secondi cosa merita la nostra attenzione o meno, etc…” Con queste scuse, complice anche la nascita di Instagram ed il costante sviluppo di Facebook, i blog hanno cominciato a chiudere, per lasciare il posto ai social media expert o agli influencer, soprattutto instagrammer.
Attenzione: non è tutto oro ciò che luccica, non lasciamoci sedurre dalle lusinghe dell’effimero.
Utilizzare esclusivamente una piattaforma social di cui non si è, ovviamente, proprietari, ci lascia in esclusiva balia degli algoritmi di qualcun altro: nei social siamo fruitori di un servizio, appartenente a qualcun altro; cerchiamo quindi di creare un nostro sito, se abbiamo davvero contenuti di valore da condividere.
I personaggi creati ad arte per promuovere se stessi, senza basi solide e che vivono alla costante ricerca della notorietà, per quanto possano sentirsi sicuri di se, sono come zattere in mezzo al mare, sospinte da un vento che può smettere di soffiare da un momento all’altro…
Questo 2020 può davvero essere lo spartiacque tra una civiltà dell’apparenza e un mondo fatto di maggior sostanza e concretezza, in cui verranno premiate le persone valide e competenti, in grado di creare veramente i contenuti di valore: sarà questa una possibile eredita del Covid-19? Ai posteri l’ardua sentenza…