Covid19: storia del virus che doveva essere un’influenza e si è rivelato una pandemia

Fare un bilancio nel bel mezzo di una emergenza sanitaria come Covid19 è un’operazione difficilissima. Le notizie che riguardano i contagiati, gli ospedalizzati, i malati in isolamento fiduciario, i guariti, i deceduti, si avvicendano e si impongono alla nostra attenzione. Sono dati ma soprattutto sono cattive notizie. Sentiamo dire, ogni tanto, che c’è qualche spiraglio, una sorta di decremento nell’incremento. Eppure, stando ai dati della protezione civile del 17 marzo, ci sono stati quasi 3 mila nuovi contagi e più di 300 morti nelle 24 ore precedenti. Si è detto che ad ammalarsi sarebbero state le persone più anziane, ovvero gli over 75 affetti da più patologie concorrenti. Le voci del personale sanitario che vive nella trincea della Lombardia – ma anche in quelle della Emilia Romagna e del Veneto – parlano invece di un’impennata di pazienti intorno ai 40 anni, precedentemente sani e adesso tenuti in vita dalle macchine per la respirazione artificiale. Si è detto che si muore con il Covid19, in presenza di svariate patologie pregresse, per poi scoprire che alcuni pazienti (speriamo pochissimi) muoiono per via della bronchite acuta causata proprio dal coronavirus. Se si riavvolge il nastro all’indietro fino al 21 febbraio, quando a Codogno in provincia di Lodi fu scoperto il paziente 1, ci si accorge che sono state dette molte altre cose, spesso contraddittorie, da parte di scienziati, politici, tecnici, giornalisti, che sono state smentite dal diffondersi della malattia. Senza volere puntare il dito contro nessuno, tanto meno contro chi studia per capire qualcosa di più di questo virus misterioso e inarrestabile, non si può non ricordare di quando fu paragonato ad un’influenza stagionale. Anzi, fu detto a noi, comuni cittadini, che il nuovo coronavirus, che pure nella città cinese di Wuhan mieteva tante vittime, era molto meno potente dell’influenza. Il nuovo virus era insomma un raffreddore o poco più. Sembrava quasi auspicabile una sua diffusione per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge: un’idea condivisa inizialmente anche dal primo ministro inglese e poi abbandonata perché potrebbe comportare un costo elevatissimo in termini di vite umane perdute. Contro l’ottimismo dei primi giorni e contro iniziative sciagurate come quella dell’hashtag #milanononsiferma, si era levata la voce del dottor Burioni, da sempre in prima linea contro le posizioni degli anti-vaccinisti, che aveva lanciato l’allarme sulla capacità del virus di contagiare e di uccidere. Aveva previsto una pandemia e la pandemia è arrivata, con l’Italia, seconda soltanto alla Cina per numero di contagi e di decessi. Il virus ha continuato a viaggiare indisturbato negli altri Paesi della UE e in altri continenti, perché ha trovato un formidabile alleato nell’atteggiamento minimizzante di molte persone. Veniamo così ad oggi, con l’Italia e l’Europa in quarantena, precipitate all’incrocio di una crisi sanitaria, che rischia di diventare una catastrofe umanitaria (basti solo pensare alle conseguenze della diffusione del virus in Africa), e di una recessione economica dalle conseguenze sociali senza precedenti. Una variabile cruciale nel rallentare la potenza di fuoco di Covid19 è indubbiamente rappresentata dalla efficacia del Sistema Sanitario. Ma, gli ospedali sono ormai al collasso, in particolare nelle cosiddette zone rosse, dove si stanno allestendo ospedali da campo. Il fatto che il sistema stia collassando su stesso è reso evidente dal numero impressionante di medici e infermieri che si sono a loro volta ammalati. In questa situazione complicatissima, l’unica nota positiva corrisponde ad un auspicio, rivolto in particolare alle forze politiche che devono rimettere al centro il Welfare come fine e come antidoto ai mali del nostro tempo.

Foto tratta dal sito web leccenews24.it

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