Quanti soffrono d’ansia quando la batteria del cellulare scende verso il basso e non abbiamo con noi il caricabatterie?
Quanti si sentono persi quando il display ci informa che non c’è nessun servizio e siamo disconnessi da internet e dalla rete telefonica?
A quanti capita di mettere nervosamente la mano in tasca o in borsa per assicurarsi che lo smartphone sia ancora lì?
In alcuni casi la paura di restare «tagliati fuori», perché non abbiamo il telefonino, diventa fortissima al punto da poter essere quasi considerato una malattia.
È il caso della nomofobia (dove «nomo» è l’abbreviazione di «no mobile»), l’ansia da separazione da cellulare di cui si stanno occupando numerosi ricercatori.
Non è ancora una patologia riconosciuta, ma è comunque destinata a diventarlo.
L’uso che facciamo dei telefoni, ormai diventati ormai una sorta di estensione di noi stessi, oltre ad essere quello di telefonate è anche molto di messaggistica e archivio fotografico, che sono di fatto la storia della nostra vita.
Aggiungiamo poi tutte le varie app, i siti, i servizi, cui non ci sembra di poter fare più a meno.
La tecnologia sta diventando sempre più personalizzata e adattabile ai bisogni di ciascuno, e attraverso app e caratteristiche che rendono il telefono sempre più unico, questo non fa che aumentare l’attaccamento a questo oggetto.
E sentire il telefono come un’estensione dell’io aumenta la probabilità che si sviluppi un’ansia da separazione, che non si riesca a tollerare di allontanarsi dallo smartphone neanche per pochi minuti.
Tutti siamo a rischio di diventare un pò nomofobici, ma sono soprattutto gli adolescenti a infilarsi spesso in un rapporto distorto con lo smartphone.
I disagi emotivi tipici del periodo, il bisogno di conferme dal gruppo, la scarsa autostima e le difficoltà nei rapporti sociali fanno sì che oltre alla paura di restare separati dalla propria propaggine digitale i ragazzi siano anche le più frequenti vittime del Fomo , acronimo per Fear of Missing Out .
Il timore di essere tagliati fuori dalle comunicazioni con gli amici che li porta a dormire col telefono accanto al cuscino e a chattare fino a notte fonda, perché il telefono dà l’illusione di essere sempre accanto agli amici.
Negli adolescenti il suono dell’arrivo di un messaggio su WhatsApp si associa a un incremento cerebrale della dopamina, il “messaggero” della gratificazione e del piacere.
Tutto questo facilita l’instaurarsi di un attaccamento morboso all’oggetto, che può nascondere però grossi problemi nei rapporti con gli altri.
Il paradosso è che oggi i ragazzi, pur avendo innumerevoli mezzi per comunicare, riescono a entrare in relazione con il prossimo molto meno e peggio del passato.
Tanti gruppi di WhatsApp per esempio nascono per aggregazione casuale e questo porta ad aberrazioni.
Non ci si conosce davvero, non si comunica realmente, così dinamiche di aggressività e bullismo sono sempre più difficili da arginare.
Non esistono stime sulla prevalenza della nomofobia, della Fomo o della dipendenza da cellulare in generale, che si manifesta con i sintomi delle prime due conditi da sindromi di astinenza vere e proprie, fino agli attacchi di panico da mancanza di telefono.
Di certo, anche senza arrivare a una vera patologia, nei ragazzini l’uso problematico dello smartphone, oltre che più frequente, è pure più pericoloso.
La perdita delle ore di sonno per stare in chat o sui social è il problema più rilevante, anche perché instaura un circolo vizioso.
Chi non dorme a sufficienza tende a cercare di più esperienze gratificanti e a sviluppare un comportamento compulsivo, che rafforza a sua volta l’uso smodato del telefono.
La carenza di riposo poi produce alterazioni globali del funzionamento cerebrale con disturbi di concentrazione e ansia.
E allora come accorgersi se un adolescente sta esagerando?
Se si fa fatica a separarsi dal telefono, anche solo per il tempo della cena, meglio drizzare le antenne.
Soprattutto perché l’obiettivo deve essere la prevenzione di una vera dipendenza: una volta che si sia instaurata, infatti, è molto difficile da risolvere nonostante l’impiego di psicoterapia e in alcuni casi di farmaci.
C’è invece spazio per agire nella “zona grigia” dell’utilizzo distorto e problematico, spesso e volentieri è sufficiente tornare a parlare con i figli per risolvere situazioni che paiono disperate, in cui i ragazzi sembrano assorbiti solo dal telefono.
Abbassare il tenore dello scontro può bastare a riportare alla realtà i ragazzi.
Minacciarli o togliere loro lo smartphone non serve, quando ci si arriva significa che la battaglia è persa.