Non è vero che la lunga crisi economica e finanziaria, che ha coinvolto i Paesi occidentali, è trasversale e colpisce tutti indistintamente: c’è qualcuno che paga di più.
Sono le fasce socialmente ed economicamente più deboli, le meno rappresentate, quelle che fungono da ammortizzatori sociali in sostituzione di uno Stato che si ritira e che non sa tutelare i presidi di democrazia, a fronte di una finanza sempre più arrogante e spregiudicata.
La crisi economica ha acuito la sperequazione sociale, di genere e generazionale. Ha rallentato il fenomeno di emancipazione della donna verso la rappresentanza democratica paritetica e partecipata. Tagli indistinti e deregolamentazioni hanno cooptato le donne in una pericolosa surrogazione, aggravando gli effetti della maldistribuzione dei carichi familiari.
Giovani donne istruite, capaci, determinate, continuano a subire le umiliazioni di forme contrattuali meno tutelate e meno retribuite, licenziamenti in bianco, percorsi di carriera blindati e, spesso, discriminazioni che arrivano all’harassment.
Donne di mezza età, lavoratrici, madri, spesso nonne, ancora figlie, devono sobbarcarsi l’onere di cura materiale e spesso economica, per 3 generazioni. Una sorta di donne sandwich compresse in mille ruoli da scontare e giustificare.
La riforma pensionistica degli ultimi anni è pagata dalle donne in termini di permanenza nel mondo del lavoro, senza offrir loro un ampliamento dei servizi sociali di supporto.
Ed allora? Che fare?
L’analisi del fenomeno e l’individuazione di migliori prassi da importare nel welfare aziendale può permettere un’attenuazione della complessa gestione dei carichi familiari.
L’innovazione tecnologica può venire in aiuto per forme di lavoro delocalizzato, adempiendo dal domicilio al doppio ruolo di lavoratrice e assistente familiare, col rischio, però, di imprigionare nelle mura domestiche le nuove gheishe della cura.
Sabrina Cicin