Già all’indomani della giornata elettorale che ha portato al voto l’intero Vecchio Continente, è possibile tentare di prevedere con poco margine di errore le possibilità di coalizione che andranno a costituire l’assetto parlamentare di Bruxelles da qui al 2024. A livello macroscopico, poche sorprese – con PPE e SDE in testa – se non la continua ascesa dell’ALDE, oggi vero e proprio “terzo polo” all’interno di un sistema sempre meno bifronte.
Ogni Stato andato al voto ha avuto le sue particolarità, più o meno sorprendenti: dal Regno Unito, ad esempio, si profilava certo una netta sconfitta dei Tories dopo l’imbarazzante gestione Brexit, ma sarebbe stato difficile prevedere addirittura un terzo delle preferenze al già “sbugiardato” partito antieuropeista di Nigel Farage. Ma nel resto d’Europa, a dire il vero, le sorprese sono state poche.
L’Italia rientra certamente nella fattispecie: in molti, nella mattina di lunedì, si sono stupiti nel vedere la Lega di Salvini oltre il 34% e il sorpasso del Partito Democratico sul Movimento 5 Stelle. Sorprendersi, però, denota una scarsa attenzione prestata negli ultimi mesi alla situazione interna del Bel Paese, e alla tristemente perpetua campagna elettorale che ha caratterizzato l’ultimo anno di governo giallo-verde. Che Salvini potesse, a distanza di un anno e più da marzo 2018, essere il primo partito, non era affatto una sorpresa. Né era sorprendente che queste preferenze fossero state fagocitate direttamente dal Movimento 5 Stelle, oggi terzo partito al 17%.
In un anno di “bipolarismo di governo”, la Lega ha brillato – seppure a suon di proclami e polemiche artefatte, con poco di realmente fatto – mentre i Cinque Stelle no. Salvini si è fatto forte della sua figura di leader, mentre Di Maio e soci hanno trasmesso alla propria base elettorale confusione e incertezza. I risultati si sono visti e hanno concesso anche al Partito Democratico una risalita a secondo partito.
C’è da sottolineare come la risalita dem sia, probabilmente, più relativa al crollo grillino che non a un merito interno del partito di centrosinistra: la nuova linea Zingaretti ha portato un piccolo alito di freschezza, ma senza realmente essere incisiva per quanto concerne l’assetto partitico e il modo di porsi nei confronti dell’attualità italiana, politica o meno che sia. Il Pd è meno renziano, ma non è un nuovo partito di sinistra: qualcuno, semplicemente, ha deciso di tornare a fidarsi di esso. E c’è anche da chiedersi se nel 23% acquisito da Zingaretti e soci non conti anche la profilazione socio-economica dell’elettore medio interessato alla partecipazione europea, in qualche misura diversa da chi vota solo per l’Italia e più “attenta” ai temi sovranazionali, cosa che coincide con l’elettorato dem.
Diametralmente opposta la situazione per Forza Italia e Fratelli d’Italia, che si rubano vicendevolmente i pochi voti lasciati da Salvini e si spartiscono di fatto il 9% e il 6%, comunque di poca rilevanza rispetto alle preferenze globali ottenute rispettivamente dai Popolari e dai Conservatori europei. In controtendenza anche +Europa, che non supera la soglia del 4% nonostante l’ALDE, cui fa riferimento, abbia avuto un boom innegabile sul piano europeo. Ma l’Italia, d’altra parte, resta in controtendenza: il fronte “sovranista” di Salvini, l’ENL, non ha avuto l’exploit che si temeva, eventualità che si sarebbe verificata se gli altri Paesi avessero votato similmente all’Italia – o all’Austria dell’OEVP.
I giochi europei sono quasi decisi, e probabilmente andranno a consolidarsi con una grande coalizione tra Popolari, Socialisti e Liberaldemocratici; quelli italiani, invece, sono tutti da vedere.
Perché è vero che le elezioni europee non smuovano seggi nel Parlamento italiano, ma l’assetto di governo – come sempre nell’ultimo anno – è già in discussione e si orienta sempre più attorno alla sola Lega. Con il solito rinnovo della fiducia a Conte, e il solito “ma…” a chiudere la frase.