È la seconda volta, in pochi mesi, che le molestie sessuali sul posto di lavoro vengo derubricate a semplici atti goliardici, fatti senza malizia.
Orbene, dopo tanto clamore sulle accuse al noto produttore cinematografico, siamo ancora a discutere i confini in cui le donne debbano subire attenzioni non richieste.
Non c’è bisogno di polemiche, né di movimenti, lettere aperte e dibattiti: qualsiasi essere umano va rispettato nell’interezza della sua persona.
Il passaggio a Stato democratico è stato costellato da feroci battaglie per il riconoscimento dei diritti umani. Umani, non maschili.
Il rispetto delle opinioni, delle scelte religiose, del diritto allo studio ed alla informazione, dell’impegno politico e sindacale, la tutela della persona nel suo insieme, al suo pieno sviluppo nella libertà e pari dignità, riconosciuto all’art.3 della Costituzione è un concetto universale, non diretto a metà della popolazione.
L’autodeterminazione del proprio corpo passa anche e soprattutto nella difesa giuridica e giurisprudenziale. Per questo siffatte sentenze non danneggiano solo la ricorrente, ma squalificano l’intera condizione femminile ad uso e consumo delle fantasie maschili.
Ridere di questi atti, considerandoli come frizzi e lazzi, non fa bene a chi li subisce, uomo o donna che sia, né al clima aziendale. Lo scherno non è contemplato nel diritto del lavoro, anzi, andrebbe fortemente represso, in tutte le sue forme, spesso anticamera di mobbing o molestie.
Una sculacciata non è uno scherzo, un apprezzamento non richiesto non è corteggiamento, chiedere favori sessuali per ottenere un incarico non è una prassi.
Se non si chiariscono con fermezza queste premesse, sarà sempre più difficile sradicare pregiudizi e preconcetti che rendono tortuosa e ripida la strada per la parità effettiva tra i generi.