RIFORMA COSTITUZIONALE: NUOVI CAMBIAMENTI NEL TITOLO V ( parte quarta)

4Un altro aspetto del testo costituzionale, soggetto a referendum, è: la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione.

Letto così, può sembrare un argomento lontano da noi, eppure, questo ci tocca molto da vicino.

Partiamo da un dato concreto: già nel 2001, il Governo Prodi/Amato, a colpi di maggioranza parlamentare, riuscì a promuovere una revisione del Titolo V, andando verso una precisa direzione, un maggiore decentramento dei poteri, con materie, la cui competenza passava dallo Stato alle Regioni. Era l’idea di una sorta di federalismo, magari non completo, magari molto annacquato, ma c’era una certa idea politica ben presente. La riforma fu promossa dal seguente referendum, anche se in tantissimi fecero notare che la stessa era pasticciata e confusa, e che avrebbe generato una serie di conflitti tra Stato e Regioni.

Ma il mantra era sempre lo stesso: si deve cambiare, si deve ammodernare lo Stato, non farlo ucciderebbe il futuro, ed altre amenità varie.

Sintesi: dopo 15 anni, il Governo Renzi (più o meno lo stesso partito di Prodi/Amato, guarda caso) è costretto a rimettere mano al Titolo V, perché sono stati molteplici i conflitti tra Stato e Regioni, con contenziosi aperti, sia per pure ragioni tecniche, laddove la chiarezza di riscrittura non era proprio presente, sia per pure ragioni politiche, sfruttando proprio quell’assenza di chiarezza.

La Riforma del 2001 prevedeva che diverse competenze che fino ad allora erano riservate allo Stato, passassero alle Regioni. Ciò che mancò, principalmente, fu l’aumento dell’autonomia fiscale delle Regioni; in sintesi, le Regioni spendevano ed amministravano, decidendo autonomamente, e lo Stato, poi, metteva i soldi se non c’erano le giuste coperture regionali.

Gli scandali nella Sanità, quelli negli appalti di grandi opere, gli sprechi enormi in materia di spesa regionale, gli stipendi di Governatori e consiglieri, più simili a quelli di un Presidente di uno Stato che ad un semplice amministratore regionale, furono permessi proprio dalle mancanze normative che non furono scritte nella riforma.

Il Governo Renzi, rimette mano a queste storture, non correggendo il tiro, ma virando enormemente: da un federalismo immaturo si ritorna verso un centralismo di fatto.

Infatti, tantissime materie torneranno in mano allo Stato, in modo esclusivo:

 

– politica estera;

– immigrazione;

– rapporti tra Repubblica e confessioni religiose;

– sicurezza dello Stato e Forze Armate;

– sistema tributario e contabile dello Stato e mercati finanziari;

– organi dello Stato e leggi elettorali;

– organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

– ordine pubblico e sicurezza;

– cittadinanza;

– giurisdizioni e norme processuali;

– determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale

– istruzione;

– previdenza sociale;

– ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane;

– protezione dei confini nazionali;

– pesi, misure e determinazione del tempo;

– tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;

– professioni;

– produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;

– infrastrutture.

 

Alle Regioni resteranno le competenze esclusive su:

 

– rappresentanza delle minoranze linguistiche;

– organizzazione dei servizi sanitari e sociali;

– promozione dello sviluppo economico locale;

– promozione del diritto allo studio;

– valorizzazione e organizzazione regionale del turismo.

 

In pratica le Regioni vengono spogliate quasi del tutto di poteri. Ed è interessante notare che eliminate già di fatto le Province, c’è una drastica riduzione delle istanze territoriali. Un Sindaco o un Governatore potranno così, amministrare ben poco, e solo un centinaio di loro, potranno sedere nel nuovo Senato ed avanzare proposte di un territorio, sperando che lo Stato, attraverso la Camera dei Deputati, o attraverso il Governo, ascolti e promuova le loro iniziative.

Inoltre, la Riforma introduce la clausola di supremazia che permette alla legge dello Stato di intervenire in materie riservate alla competenza legislativa delle Regioni nel caso in cui il Governo ne rilevi l’interesse nazionale.

Quindi in un aspetto concorrenziale tra Stato e Regioni, basta utilizzare la clausola per far prevalere gli interessi di Stato a quelli del territorio.

E se pensassimo che questa Riforma potrebbe risolvere ogni problema conflittuale tra Stato e Regioni, saremmo dei pii illusi: pensiamo, ad esempio, alla tutela della salute; oggi è attribuita alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, domani, se entrerà in vigore la Riforma, sarà affidata alla competenza esclusiva dello Stato. Leggendo il testo varato dalle aule parlamentari, senza fermarci agli slogan dei partiti, scopriamo che sulla tutela della salute lo Stato è competente a legiferare solo in ordine alle “disposizioni generali e comuni”, con la conseguenza che tutto ciò che non sia generale e comune spetterà alle Regioni.

Un confine labile e confuso, che genererà nuovi conflitti con ulteriori ricorsi alla Corte costituzionale.

Poi ci saranno materie in cui la competenza addirittura si sovrappone: basterebbe pensare, ad esempio, alla tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (di competenza dello Stato) e alla promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici (di competenza delle Regioni), oppure alle infrastrutture strategiche (di competenza dello Stato) e alla dotazione infrastrutturale (di competenza delle Regioni). Qui il confine è praticamente inesistente, il dubbio è ben presente e sarà sicuramente la Corte costituzionale a dover poi, dirimere la questione.

Altro dubbio che ci pervade: perché la riforma non si applica alle Regioni ad autonomia speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano? Perché non si è avuto il coraggio politico di eliminarle, anche perché sono, di fatto, oggi anacronistiche?

Questa riforma crea, nei fatti, anche una disparità di trattamento rilevante tra le due categorie di Regioni, quelle di diritto comune fortemente ridimensionate, quelle speciali di fatto rafforzate.

Ed è questo il grande cambiamento che da anni cercavamo?

 

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