Il luogo del viaggio

11111I luoghi di scambio sono sempre contornati di un curioso fascino intrinseco. Stazioni, aeroporti autostazioni; sono tutti spazi permeati di una malinconica bellezza a tratti decadente, in cui si mischiano novità, abitudini, desolazione e gioie. Apparentemente sembrano luoghi confusi e rumorosi, ma se si spende il tempo che vi si trascorre in atteggiamento osservante possono svelare aspetti sorprendenti e poetici come nessun altra opera dell’uomo riesce.
La bellezza involontariamente trasmessa alla materia, assemblata con uno scopo (viaggiare), e riuscita fuori con un altro (accogliere la Vita).
Tempeste di sguardi sfuggenti e distratti attraversano l’aria che è viva di ogni respiro speso, di ogni sospiro, di ogni parola pronunciata ad un amore che si allontana od ad uno che ritorna.
Si mescolano le voci, distinte e chiare fra gli interlocutori, in un turbinare di fruscii incomprensibili i quali si trasformano in un involontario sottofondo di accompagnamento per viandanti. Il concerto viene interrotto solo dai richiami e dagli annunci masticati e sputati fuori dagli altoparlanti con voce metallica; a volte dal sibilare dei freni di un treno in arrivo. I treni hanno conservato la purezza degli addii forse anche più degli aerei, comodi quanto impersonali. A ridosso dei binari è possibile vedere l’intero campionario emotivo dell’umanità, se si presta sufficiente attenzione; il tutto condito da quell’odore caratteristico, che un dio buono ha voluto dedicare solamente alle stazioni ferroviarie. Un misto di gomma bruciata, sigarette, ferro sforzato e umidità che non stanca e trascina anche il più duro di cuore nel mare dei ricordi; non importa che si tratti di un viaggio da bambino o dell’ultimo abbraccio ad una figura scomparsa nella nebbia del tempo, ognuno ha qualcosa da rivivere davanti alle porte del vagone.
Il tempio della partenza affascina e conquista, volente o nolente. Così come il treno sembra essere costruito apposta per salutarsi, per far durare il saluto il tempo necessario a versare una lacrima e stringere il cuore in una morsa che può durare anche giorni.
Come quella volta che salutai Torino. Era come il copione trito e ritrito di un film di seconda categoria, eppure mi commosse. Gli ingredienti c’erano tutti: l’alba, sedili vuoti, un treno impaziente ed una vita dall’altra parte che aspettava di essere ripresa da dove era stata lasciata.
Ricordo che ci fu un solo saluto. Rapido, impacciato, asciutto. Come viene naturale quando siamo alle prese con le nostre paure; rapido per farlo durare il meno possibile; impacciato perché aveva tutte le caratteristiche di un addio; asciutto, perché per le lacrime avremmo avuto a disposizione tutta la vita.
E Porta Nuova era lì, ad abbracciare quel saluto di occhi mai dimenticati che scivolavano lungo le righe del vetro.
Viene sempre in mente un verso di quella canzone: “…certo che può sembrare inutile, una stazione a chi non parte mai…”
Perché solo chi non è mai partito, non è mai tornato.
Perché “Tornare” può essere il senso di tutta una Vita.

 

Giampaolo Giudice

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