IL MURO DEL TEMPO «Rome wasn’t built in a day»

 

Lo scorso 21 aprile è stato inaugurato il grande fregio Triumphs and Laments: un progetto per Roma, realizzato dall’artista sudafricano William Kentridge (Johannesburg, 1955) lungo i muraglioni di travertino del Lungotevere, fra Ponte Sisto e Ponte Mazzini, ribattezzato per l’occasione “Piazza Tevere”.

Con il suo mezzo chilometro di lunghezza, l’opera rappresenta il più impressionante e significativo esempio di arte urbana a livello europeo: un’ottantina di figure alte dieci metri raccontano glorie e miserie che hanno segnato la storia della città eterna, fondata, secondo la leggenda, il 21 aprile 753 a.C. Per Kentridge (che già nella fermata Toledo della Metro a Napoli ha realizzato, nel 2012, una processione, guidata da San Gennaro, ispirata alle vicende partenopee) non importa però che i personaggi siano reali o immaginari: la dea Minerva e la Lupa Capitolina, con Romolo e Remo, hanno la stessa valenza simbolica di scene tratte da Roma città aperta e dalla Dolce Vita o di figure quali Mussolini a cavallo, Giorgiana Masi, Aldo Moro o le vedove di Lampedusa (che rinviano “in tempo reale” alla tragica vicenda, ormai quotidiana, dei “migranti”). Luci e ombre sono accolte e rielaborate in ordine non cronologico per esprimere la contraddittorietà del volto della Capitale: accanto a quello di Remo, giace il corpo senza vita di Pasolini, mentre alla grandezza di San Pietro fanno da contrappunto la costruzione del Ghetto ebraico e il rogo di Giordano Bruno.

All’eternità di Roma si oppone così la provvisorietà di una pittura che accoglie in se stessa anche le parole di Rainer Maria Rilke e alcuni frammenti di graffiti trovati sui muraglioni, oltre a testi di canzoni e di canti provenienti da paesi extra europei; una pittura che il suo autore dichiara ispirata “a rovescio” dalla Colonna Traiana. Le figure, infatti, realizzate grazie a una selettiva pulitura delle superfici murarie ad esse immediatamente circostanti dalla patina biologica accumulatasi nel tempo (una tecnica sperimentata, per la prima volta nel 2009, da Kristin Jones, per la associazione Tevereterno, ente promotore dell’evento), scompariranno in un tempo relativamente breve: “Fra qualche anno – spiega Kentridge – batteri, inquinamento e vegetazione avranno nuovamente la meglio. E le immagini torneranno nell’oscurità da dove sono venute”. “Così – continua l’artista – tutto è connesso al senso della storia che cambia e anche alla perdita di memoria. Il Tevere scorre come le vicende umane, ma la processione delle mie figure va controcorrente. La mia opera è provvisoria, non può restare per sempre perché diventerebbe una dichiarazione troppo definitiva di quello che la storia è. È una specie di cinema geologico che col tempo diventerà sempre più scuro”.

Dell’ingegnoso progetto resteranno comunque i bozzetti preparatori, di varie dimensioni e tecniche (carboncino, china, henné e tempera), eseguiti nell’atelier di Johannesburg e tradotti sulla parete con la procedura dello stencil, attualmente esposti al Macro di via Nizza, nella mostra Triumphs and Laments: un progetto per Roma, organizzata dalla Sovrintendenza in collaborazione con la galleria Lia Rumma e curata da Federica Pirani e Claudio Crescentini.

 

Giada Sbriccolise

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